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La vendetta sbagliata: storia dell’innocente ucciso nella faida tra le cosche del Tirreno

I nuovi indagati per l’omicidio di Antonio Maiorano. Il patto di sangue tra Ditto e Bloise e la scheda sim mangiata per coprire le tracce

Pubblicato il: 27/07/2022 – 6:51
di Alessia Truzzolillo
La vendetta sbagliata: storia dell’innocente ucciso nella faida tra le cosche del Tirreno

PAOLA Antonio Maiorano era un idraulico forestale. È stato ucciso il 21 luglio del 2004 a Paola perché scambiato per lo ‘ndranghetista Giuliano Serpa. È morto vittima innocente di una faida tra cosche del Tirreno cosentino: i Serpa-Bruni-Tundis-Besaldo che si contendevano il territorio con gli Scofano-Martello-Ditto-La Rosa. Tutti coloro che sono stati sentiti sul suo conto hanno raccontato che Maiorano era una persona onesta, mite, un buon padre di famiglia, ben voluto da tutti e ben lontano dall’avere guai con la giustizia. Gli investigatori capiscono subito che il delitto dell’idraulico forestale nasceva da uno scambio di persona. Il vero obbiettivo dei killer era Giuliano Serpa, anche lui operaio forestale ma pluripregiudicato, sorvegliato speciale e considerato il reggente dell’omonima cosca emergente a Paola.
A condannare il povero Maiorano sono due tragiche casualità: il fatto di avere caratteristiche somatiche simili a Serpa (corporatura e capelli brizzolati) e il fatto di essersi seduto a leggere un giornale nello stesso luogo (la base operativa del servizio antincendio posta vicino allo stadio di Paola) in cui poco prima era seduto Giuliano Serpa. I due si era scambiati il posto, i killer non se ne avvedono, a volto coperto si avvicinano a bordo di una moto e sparano tre colpi di arma da fuoco: questo condanna Maiorano e salva Serpa.

I nuovi indagati per l’omicidio

Giuliano Serpa veniva guardato storto dai gruppi rivali per due ragioni: l’incendio della bancarella di ceramiche vicino al santuario di San Francesco di Paola di proprietà dei genitori di Gennaro Ditto, e l’omicidio di Luciano Martello, avvenuto nell’estate del 2003. Giuliano Serpa, che si pentirà, viene a sapere da Gianluca Serpa, presente sul luogo del delitto, che Gennaro Ditto e Mario Martello avevano intriso le mani nel sangue del morto e se le erano portate alla bocca in segno di vendetta. Su questo caso, sul quale è già stata pronunciata una sentenza che ha colpito mandanti ed esecutori, la Dda di Catanzaro ha di recente chiuso il cerchio con l’arresto di Alessandro Pagano, con l’accusa di avere partecipato all’organizzazione del delitto e avere fatto da specchietto per fornire indicazioni sugli spostamento della vittima; Pietro Lofaro, accusato di avere deliberato sull’omicidio e avere fornito supporto logistico e operativo all’agguato; Romolo Cascardo, accusato di avere procurato le armi e consegnato 10mila euro circa ai due esecutori materiali dell’omicidio.

Il patto di sangue

Il collaboratore di giustizia Michele Bloise, già condannato per il delitto Maiorano, ha raccontato di essere stato arrestato nel 2003 e di avere incontrato in carcere Gennaro Ditto che aveva in animo di fare eliminare quattro persone: Giuliano Serpa, Livio Serpa, Franco Tundis e Giancarlo Gravina. Bloise e Ditto sanciscono un patto di sangue e Bloise assume il ruolo di organizzatore dei nemici di Ditto. Già nel 2012 – nel corso di un interrogatorio – l’ormai pentito Bloise racconta sin da subito «il ruolo centrale di Alessandro Pagano che fungerà anche da “staffetta” per gli esecutori materiali. «Il collaboratore tratteggia altresì la figura di Romolo Cascardo, come armiere della cosca Scofano-Martello-La Rosa e fornitore delle armi per l’uccisione dell’incolpevole Maiorano», scrive il gip nell’ordinanza di arresto dei tre indagati. Gli uomini di Ditto in un primo momento hanno difficoltà a reperire armi efficienti e una moto per l’agguato assegnato agli “azionisti” di Bloise. Il collaboratore racconta che gli venne riferito che Lofaro, Martello e Pagano avevano trovato dei «ferri arrugginiti» e che non erano disponibili nemmeno i mezzi. Gli uomini di Bloise – Greco e Marino – ricevono dunque l’ordine di tornare a Firmo. Tra l’altro il primo omicidio doveva essere quello di Nella Serpa ma questo proposito venne negato poiché in difesa della donna era intervenuto Michele Bruni dell’omonima cosca di Cosenza. Bruni chiese a Bloise di risparmiare Nella Serpa perché aveva un rapporto di parentela con lei e diversi affari in comune.

I telefonini in carcere e la sim mangiata per farla sparire

Il 23 maggio 2012 Bloise racconta che il Riesame scarcerò Pagano e Lofaro. Lo ‘ndranghetista si chiede: «”Oh! e la galera chi se la fa qua?”, cioè a livello… questo è proprio partecipe al cento per cento, lui gli ha fatto fare la staffetta in diretta con il telefono». Viene fuori che il telefono lo usavano i boss in carcere, uno dei Bloise e l’altro di Giordano e «sono stati trovati tutti e due» ma la scheda di Bloise non è stata recuperata perché il detenuto l’ha mangiata. Il collaboratore racconta che fu lo stesso Ditto a fargli i nomi dei suoi uomini perché li chiamava con il cellulare dello stesso Bloise: «Per le armi ha chiamato a questo Lofaro Pietro…». Archiviata la morte di Nella Serpa i propositi omicidiari si spostano su Giuliano Serpa. Il patto tra Ditto e Bloise era che Ditto sarebbe diventato il nuovo capo locale su Paola e Bloise avrebbe gestito il traffico di droga sulla città. Infatti l’accordo prevedeva pure che, dopo gli omicidi contro i Serpa, doveva essere eliminato Antonello La Rosa, all’epoca il principale spacciatore sull’area paolana. Non prima, però, di averlo sfruttato per portare a termine gli altri delitti. Il boss della Sibaritide, Tonino Forastefano, approvò l’accordo. Ma l’ordine di questi omicidi non piaceva a Mario Martello, nipote di Luciano Martello, che si riteneva l’unico in diritto di organizzare la vendetta.

Il fiore per gli omicidi

Inizialmente Maurizio Giordano aveva proposto di pagare le esecuzioni 300mila euro. Una decisione avversata da Michele Bloise secondo il quale gli omicidi non si pagano ma, secondo il codice mafioso, si ricambia il favore con altre azioni delittuose. Così venne stabilito che, in segno di gratitudine, ai sicari sarebbe stato garantito un “fiore” di 30mila euro.

Il killer e il peso che lo attanaglia

Bloise racconta che mandò su Paola anche Adamo Bruno per compiere una serie di rapine. «Non di meno, sul posto, Bruno si accordò direttamente con Martello per l’uccisione di Giuliano Serpa». Ed è proprio Adamo Bruno che il 29 luglio 2005, si reca dai carabinieri e confessa il delitto del povero Maiorano.«È da tempo che intendo togliermi un grande peso che mi attanaglia», comincia il racconto di Bruno. Il killer racconta che a lui e al suo compare Pietro Vicchio vennero fornite della armi «appena arrivate dalla Svizzera» e il giorno dopo, all’imbrunire, visionarono la moto per l’agguato: una Aprilia Scarabeo color oro. I due non conoscevano affatto Giuliano Serpa. Il giorno dell’agguato «Alessandro ci disse che l’obbiettivo era seduto su una sedia davanti all’entrata dello stadio, aveva occhiali neri, i capelli brizzolati e stava leggendo il giornale». I due si portano con la moto vicino a colui che in realtà è Maiorano. Bruno scende dalla moto, estrae la pistola calibro 9×21 e gli esplode un primo colpo al petto. Quello grida «no no» ma il killer non capisce e spara un altro colpo al braccio, l’uomo cade. «A quel punto mi sono avvicinato sopra di lui mettendomi a cavalcioni ed esplodendogli un ultimo colpo di pistola in testa». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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