CATANZARO La difesa aveva chiesto al Tribunale collegiale di Vibo Valentia – che presiede al processo Rinascita-Scott – di alleggerire la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Giancarlo Pittelli, imputato nel maxi con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma secondo l’accusa, fa notare il collegio presieduto da Mario Santoemma (Filippo Aragona, Arianna Roccia a latere), “la posizione indiziaria del Pittelli, si sarebbe addirittura aggravata e che anche le imputazioni e le condotte escluse dal novero della gravità indiziaria in giudizio cautelare, dalla Suprema Corte, sono in grado di riprendere efficacia di prova nel corso del giudizio a cognizione piena.
La difesa di Pittelli – gli avvocati Guido Contestabile e Salvatore Staiano – sostiene che, nel periodo in cui Andrea Mantella, a capo del gruppo criminale emergente a Vibo, è divenuto collaboratore di giustizia, Pittelli non abbia travalicato i propri compiti, dando supporto esterno alla cosca Mancuso che era alla ricerca delle dichiarazioni di Mantella.
Ma secondo il collegio del Riesame “l’assunto non si presta ad essere condiviso”.
“In primo luogo – scrivono i giudici –, in ragione della circostanza evidenziata dalla Suprema Corte ad oggi neppure smentita, secondo cui, Pittelli avesse riferito a Giamborino anche dichiarazioni non ancora discoverate del Mantella”. Il Riesame fa notare il caso della lettera alla madre che Mantella avrebbe scritto accusando il fratello. Questa informazione la fornisce Pittelli a Giovanni Giamborino, uno degli uomini più vicini al boss Luigi Mancuso. Un’informazione sconosciuta a Giamborino, fatto sottolineato anche dalla Corte di Cassazione: “La difesa nella memoria del 22 maggio 2020 ha documentato il fatto che di quella lettera avevano parlato organi di stampa, così privando tale elemento di significato. Va però osservato che il Tribunale ha fondato la ricostruzione sulla complessiva analisi delle conversazioni intercettate e non solo su quell’elemento e inoltre che in realtà il passaggio valorizzato dal Tribunale conteneva anche un riferimento del P. al fatto che il M. avesse accusato il fratello, del quale non si fa invece cenno nella notizia riportata da organi di informazione, in base alle produzioni difensive”, scrive la Suprema Corte.
“… questo spacca parecchie persone Giovà”, dice Pittelli prima della successiva precisazione.
“Il dato – scrive il Riesame – va letto in modo difforme da come propugnato dalla difesa, ed esattamente nel senso più logico e coerente di un soggetto che, inizia con creare maggior allarme, sintomatico il termine “spacca” e poi dimostra di essere a conoscenza di dettagli al momento ignoti e molto rilevanti “accusa il fratello ’’. E’ una abile rete quella intessuta dall’imputato, diretta da un lato a ingenerare ulteriore preoccupazione nel suo interlocutore e tramite esso negli altri sodali ed a valorizzare vieppiù il suo ruolo, attraverso il disvelamento di notizia non solo ignota ma anche dirompente e significativa”.
Secondo i giudici, l’avvocato Pittelli, in quella conversazione mostra un ruolo mutato rispetto a quello di semplice difensore: “E’ del tutto percepibile ed evidente che in quale momento, l’avvocato Pittelli diviene non solo e non tanto un professionista cui affidare le strategie difensive, ma un consigliere, un soggetto introdotto ampiamente in ambienti irraggiungibili dalla cosca che assume un preciso ruolo di aiuto che rivendica a sé con grande abilità. E’ questa la modalità tipica di concorrente esterno di Giancarlo Pittelli, che non intende affatto, in un momento di fibrillazione della cosca, rivestire un ruolo gregario e marginale, ma che intende far pesare, non solo le sue competenze di affermato difensore, ma anche quelle di uomo capace di accedere nelle istituzioni per ivi attingere elementi conoscitivi utili alla cosca”.
In questo caso, indipendentemente dalle informazioni passate da Pittelli, scrivono i giudici “ha poca importanza accertare se quanto fosse stata preventivamente disceverata la notizia che il Mantella avesse comunque accusato i familiari”.
Secondo il collegio Pittelli “ha di gran lunga travalicato il suo compito professionale difensivo, si è posto rispetto alla cosca così come oggi processualmente viene delineato dalla pubblica accusa, come uomo di riferimento cui ricorrere per singoli affari e/o nei momenti di fibrillazione, come quello fin qui esposto”.
“Peraltro e per completezza, deve rilevarsi che, Pittelli, rivendica l’esistenza di un rapporto professionale con Luigi Mancuso. Ma il rapporto professionale è per definizione un contratto con un singolo cliente, non con un sodalizio.
Nel caso in esame, l’intervento, sebbene diretto anche a realizzare un interesse del Mancuso, è palesemente percepito come un aiuto a tutto il clan mafioso e così si palesa, atteso che i sodali temono gli effetti delle dichiarazioni di Mantella non solo a livello individuale ma anche per gli effetti dirompenti sul sodalizio”, scrivono i giudici del Riesame secondo i quali Pittelli sarebbe stato percepito dalla cosca come “uno che nel momento della fibrillazione si adopera per loro”.
La cosca sa che la Procura di Catanzaro è stata blindata per evitare fughe di notizie: “perché … Gratteri gli sta facendo il culo in questo modo … infatti ha bloccato tutta la Procura … l’ha bloccata totalmente, non va nessuno, non può entrare … una volta entravano ’mbasciate, cose … i catanzaresi… i lametini facevano che caz** volevano, ora … adesso hanno bloccato tutta la Procura … tutto, tutto, tutto cose …ha cambiato tutto …ha mandato via tutti dalla Procura non esce uno spillo … hai capito? con Gratteri […]”. Continuava nel discorso, raccontando come prima gli avvocati ”sapevano tutte le cose”, sottolineava come qualche informazione riuscissero ad attingerla solo dalla “Dia”, specificando che “a quello” [inteso a Pitelli Giancarlo], gli davano tutte le informazioni possibili e immaginabili: “…infatti prima gli avvocati sapevano tutte le cose …prendevano carte… or a non prendono un cazzo… infatti qualche …qualche informazione dalla Dia sta arrivando … capito? A quelli gli danno tutte le informazioni possibili ed immaginabili… e ma dalla Dia … di qua da Gratteri e dalla Dda non sta uscendo niente … eh?!…”.
Dunque, poco vale se Pittelli abbia magari semplicemente millantato di poter aiutare la cosca. Secondo il collegio del Riesame “è del tutto irrilevante l’argomento difensivo secondo cui, il solo millantare un intervento diretto ad acquisire la conoscenza di fatti secretati ma già in parte disceverati, non può acquistare la valenza di concorso esterno, ma di lecito intervento professionale. Che invece, trattasi di concorso esterno, sia per la intrinseca illiceità anche della sola promessa dell’intervento, che per la consapevolezza di assumere in quel momento, come già si è detto il ruolo di “consigliori” della cosca”.
Altro argomento messo sul piatto dai giudici è il comportamento di Pittelli una volta uscita dal carcere e la lettera spedita al ministro Mara Carfagna nel quale afferma di “essere perseguitato da accuse folli della Procura di Gratteri asseverate da giurisdizione asservita”.
Il Riesame afferma come “al di là della circostanza delle esistenza di un diritto costituzionalmente garantito di investire il parlamento o una sua componente della sua situazione processuale, altro è l’esercizio di tale diritto, altro è l’invocare un aiuto a difendersi non nel processo, nel quale il Pittelli esercita pienamente ed a dire il vero anche molto egregiamente il relativo diritto, ma a difendersi dal processo, operazione né garantita, né consentita nello stato di diritto”.
Durissima la considerazione dei giudici: “Pittelli non è perseguitato da chicchessia e se mai abbia la prova del contrario lo denunci nelle sede competenti anziché strombazzarlo a parlamentari e media”. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
x
x