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«Panchine giganti: prima che diventino più numerose delle pale eoliche!»

«È curioso come la Calabria sia sempre pronta ad importare da fuori regione mode che dovrebbero magicamente sedurre i turisti, eterni oggetti del desiderio dei calabresi. In un tempo in cui per av…

Pubblicato il: 28/07/2022 – 9:50
di Francesco Bevilacqua
«Panchine giganti: prima che diventino più numerose delle pale eoliche!»

«È curioso come la Calabria sia sempre pronta ad importare da fuori regione mode che dovrebbero magicamente sedurre i turisti, eterni oggetti del desiderio dei calabresi. In un tempo in cui per aver successo alla “borsa” del turismo, per divenire realmente attrattivi, occorrerebbe distinguersi, dimostrarsi originali e creativi, enti, associazioni e privati preferiscono invece scimmiottare fenomeni di massa che tendono ad omologare luoghi e comunità, a rendere gli uni e le altre uguali e seriali.
È la volta delle “grandi panchine”, fuori misura (due metri di altezza la seduta e quattro di lunghezza) e sgargianti, da piazzare in luoghi panoramici delle nostre montagne. La moda nasce da un’idea di Chris Bangle, un designer statunitense progettista di automobili che, stanco di carrozzare quattro ruote, ad un certo punto della sua vita, ha pensato bene di riempire le Langhe, in Piemonte, di panchine giganti. Ne è nata la Fondazione Big Bench Community Project (BBCP) – ma anche un’impresa commerciale, la Chris Bangle Associates Srl – che vorrebbe così “promuovere l’installazione dell’oggetto fuori scala e contestualmente contribuire a sostenere le comunità locali, il turismo e le eccellenze artigiane dei paesi in cui vengono posizionate” (così recita, pomposamente, il sito della fondazione). Dalle Langhe l’idea di Bangle sta dilagando in tutt’Italia: sempre dal sito apprendiamo che le “panchinazze” già piazzate ad “abbellire” i paesaggi sono 242 e che quelle in costruzione sono 82. Già, perché la fondazione tiene il conto delle installazioni tentando di imporre dei canoni precisi a tutti gli entusiasti che, soprattutto negli ultimi mesi, stanno rispondendo alla “chiamata agli attrezzi” di falegnami più o meno improvvisati che lavorano alacremente per costruire copie delle big bench da inchiodare da qualche parte dei loro territori.
La moda è giunta, inesorabile, anche in Calabria, dove certo non bastavano pale eoliche, tralicci, antenne, crocefissi giganteschi e statue benedicenti a rendere “attrattivi” i punti panoramici delle nostre montagne. A San Pietro Apostolo, una panchinazza gialla detta “dei due mari” è stata piazzata su Monte Pallone, già devastato da tagli scriteriati del bosco, mentre a Longobucco è sorta appositamente un’associazione per costruire una panchinazza azzurra da collocare, pare, in un luogo iconico di quel territorio, la rupe di Pietra Gnizzito. E già decine di comuni si preparano a replicare all’infinito la trovata di Chris Bangle, con i sindaci entusiasti come i bambini, alla cui “ingenuità” si ispira Bangle, il quale scrive, per l’appunto: “Magari un giorno vedremo una “Panchina della Pace” in un’area veramente travagliata del mondo, dove la possibilità di sedersi, guardare le cose da una prospettiva più fresca, e sentirsi di nuovo come un bambino, è disperatamente necessaria”.
Ovviamente, la replica acritica in salsa calabra della trovata dell’americano di turno – in questo caso il furbo Bangle – ha prodotto, in Calabria, uno stuolo di proseliti. Gente che non si è mai preoccupata della devastazione dei propri territori, che ha dormito per decenni nel sopore ineluttabile dell’”amnesia dei luoghi” (come definisco la malattia epidemica dei calabresi), ora innalza monumenti colorati in quegli stessi luoghi, immaginando frotte di turisti pronte a poggiare i loro deretani sulle panchinazze, e che, cieche agli scempi ed alle brutture che le attorniano, pubblicheranno selfie sorridenti come quelli delle tavolate del sabato sera fra pizze filanti e boccali di birra. E così la Calabria sarà salva.
Come ha scritto un designer ed un architetto calabrese ma internazionalmente noto che ha fatto della tradizione, dell’innovazione e della creatività i capisaldi della sua azione, Emilio Leo, le panchinazze, sono “l’ennesima prova di una incapacità di produrre un pensiero originale. Il problema non è cosa facciamo ma come lo facciamo. La cultura del progetto e della contemporaneità ha necessità di persone che sappiano esercitarla. Uomo e natura hanno saputo da sempre in molti luoghi instaurare una dialettica proficua. Ma più i luoghi sono speciali e più la differenza la fanno gli occhi di chi immagina il loro futuro e gli strumenti che mette in campo. Sarebbe ora (ma sappiamo bene che non è mai ora) cambiare passo e smetterla di distribuire modelli stereotipati urbi et orbi.”

*Avvocato e scrittore

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