«Se vogliamo conoscere il senso dell’esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell’angolo più oscuro del capitolo, c’è una frase scritta apposta per noi», disse una volta Pietro Citati, morto all’età di 92 anni mercoledì scorso.
Sul grande critico letterario che, fra l’altro, scrisse le biografie di Manzoni, Kafka, Goethe, Tolstoj, Katherine Mansfield e di molti altri ancora, c’è una aneddotica sconfinata. Vinse il Viareggio con un’opera su Goethe e lo Strega con una romanza su Tolstoj.
Personaggio inarrivabile, dicono che fosse ostico. Una sorta di “orso”, una specie di “ghiacciaio”. Che, però si sciolse, davanti a una giovanissima intellettuale calabrese, Chiara Fera, che riuscì a contattarlo, a parlagli, a instaurare un canale di dialogo.
Questa giornalista scrisse addirittura un saggio, “Il libro invisibile di Pietro Citati”, edito da Rubbettino e presentato a Roma nel 2018 da Giorgio Montefoschi (scrittore Premio Strega) e Piero Boitani (direttore letterario della Fondazione Lorenzo Valla e già docente di Letterature Comparate all’Università La Sapienza di Roma e di Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Cambridge).
In uno degli incontri Citati disse alla giovane letterata calabrese: «Non badi alle chiacchiere che si fanno in giro, lasci perdere le mode del momento, i consigli improvvisati. Legga. Non deve fare altro che leggere, non solo per imparare a scrivere, ma per imparare a vivere».
La Fera non si accorse subito. Ma s’era sciolto un ghiacciaio.
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