REGGIO CALABRIA «Reati straordinariamente inquietanti» e «del massimo allarme sociale». Reati che «oltraggiano» non singole persone, ma «un’intera comunità», e che hanno determinato un lento e inesorabile «decadimento culturale, sociale ed economico». La città in questione è Reggio Calabria. La comunità è quella reggina e i reati contestati sono quelli che hanno visto come parte lesa «migliaia di onesti cittadini» che, «inermi assistono a tale barbarie» con «paura, sofferenza e quotidiane mortificazioni». È chiaro e spaventosamente desolante il quadro tracciato dai pm che si sono occupati del processo “Epicentro” che ha visto alla sbarra alcuni dei massimi esponenti delle cosche reggine. Tra gli imputati ci sono i presunti boss e gregari delle principali famiglie mafiose di Reggio Calabria: De Stefano-Tegano-Molinetti, Libri, Condello, Barreca, Rugolino, Ficara, Latella e Zito-Bertuca. Inflitti quasi 800 anni di carcere per i 53 imputati, condannati in abbreviato dopo 4 giorni di camera di consiglio dal Gup di Reggio Calabria a conclusione del processo, scaturito dalla maxi inchiesta della Procura distrettuale antimafia diretta da Giovanni Bombardieri, nata dalle tre inchieste “Malefix”, “Metameria” e “Nuovo corso”.
Sono accusati di aver soffocato la comunità e l’economia di un’intera Città. Nelle scorse settimane i pm della Dda Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Nicola De Caria e Giovanni Calamita hanno depositato due memorie, oltre mille pagine, in cui si ricostruiscono le trame oscure intessute da quelli che, secondo l’accusa, sono i «massimi responsabili di quella cappa di asfissiante illegalità che da decenni incombe sulla città di Reggio Calabria e sul suo hinterland». Una pressione determinata dallo strapotere dei clan infiltrati ovunque e fatta di minacce, intimidazioni, vessazioni che avrebbe determinato «l’inesorabile decadimento culturale, sociale ed economico» di Reggio Calabria. Non si parla, dunque, solo dei singoli reati, ma delle conseguenze che le azioni dei clan reggini avrebbero determinato sull’intera vita sociale ed economica della città di Reggio Calabria. «Gli imputati, – si legge in una memoria – ciascuno per la sua parte, hanno scientemente alimentato il perverso circuito mafioso che da decenni funesta il territorio reggino, soffocato dal clima di omertà e reticenza e limitato nella crescita economica per effetto del sistematico ricorso alla pratica del racket».
In un contesto ‘ndranghetistico in cui spicca la cosca dei De Stefano – definita dalla Dda «la più potente e autorevole, quella di fronte alla quale tutti alla fine fanno un passo indietro» – risulta allarmante, secondo i pm reggini, non solo il quadro generale che ne viene fuori, ma anche e soprattutto «la personalità di tutti gli imputati»: molti dei quali, viene specificato, «pregiudicati per reati specifici o sorvegliati speciali di pubblica sicurezza» e che avrebbero agito con «spregiudicata arroganza criminale» e una «spiccatissima tendenza al delitto e all’uso delle armi». Per i pm i clan avrebbero cercato imporre «le proprie Leggi» ponendosi contro le regole dello Stato e a dispetto dei «principi fondamentali del vivere civile».
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