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Milioni di euro e bombe a mano: incroci pericolosi tra l’All Star della ‘ndrangheta e i colletti bianchi

I legami tra i Gangemi e il clan De Stefano. Il prestito usurario da 13 milioni “riscosso” con armi da guerra. Auto, supermercati ed edilizia: ecco gli affari in comune tra gruppi imprenditoriali v…

Pubblicato il: 31/07/2022 – 6:58
di Pablo Petrasso
Milioni di euro e bombe a mano: incroci pericolosi tra l’All Star della ‘ndrangheta e i colletti bianchi

REGGIO CALABRIA È tra Reggio Calabria e Roma che si snoda uno dei filoni più consistenti dell’operazione “Planning”, uno sguardo nel cuore del secondo livello. Non più zona grigia ma, secondo le valutazioni della Dda guidata da Giovanni Bombardieri, oscuro crocevia di interessi mafiosi e imprenditoriali. La famiglia Gangemi è snodo centrale nell’inchiesta condotta dai pm Stefano Musolino e Walter Ignazitto. La base operativa degli imprenditori Giampiero e Sergio (e ancor prima del padre Pietro) è nel Lazio. Ma, segnalano i magistrati antimafia, «vi sono solidi e variegati rapporti che legano la famiglia Gangemi alle principali cosche originarie del quartiere cittadino Archi che rappresentano il Gotha della ‘Ndrangheta reggina». Le ombre si stendono fino agli anni Novanta. I due fratelli «già nel 1993», erano stati oggetto di un decreto di confisca dei beni loro intestati all’interno di un procedimento che vedeva come protagonista il padre Pietro, indicato da alcuni pentiti – nel procedimento Olimpia – come «imprenditore che agiva per conto dapprima della cosca Araniti, quindi della cosca De Stefano». 

La Lucente srl: gli affari nelle auto e i legami con Condello

Nell’album di famiglia entra di nuovo il clan De Stefano: questa volta gli spunti arrivano da un’indagine della Dda di Milano «che aveva accertato come Paolo Martino (storico rappresentante della cosca De Strano in quel comprensorio, condannato per questo – e attualmente in espiazione pena – nel procedimento Redux-Caposaldo) avesse rapporti di cointeressenza economica con i fratelli Giampiero e Sergio Gangemi». Nell’elenco di sequestri a carico dei due spunta una società, la Lucente srl; secondo i pm di Roma sarebbe «riferibile a Sergio Gangemi, impegnato con il fratello Giampiero nel settore dell’acquisto e vendita di automobili». Cambiano la Procura – questa volta è Reggio Calabria – e le cosche colpite dall’indagine, ma la Lucente srl salta fuori anche nell’inchiesta Metameria. Nel mirino finisce Demetrio Condello, «individuato quale dirigente dell’omonima cosca, integrata nel casato mafioso del quartiere di Archi, sotto la guida carismatica di Carmine De Stefano». Condello finisce in carcere e, per i magistrati reggini, ha interessi economici nella «compravendita di automobili, anche attraverso una sede operativa aperta in città dalla Lucente srl (al punto che questa era sottoposta a sequestro preventivo nel citato procedimento penale)». 

I rapporti con Mordà, «imprenditore espressione della ‘ndrangheta»

È un pentito, Enrico De Rosa, a riferire dei «rapporti sinergici» tra Domenico “Mico Gingomma” Condello, fratello di Demetrio, «con Giampiero Gangemi». Dal 1993 al 2018: venticinque anni di ombre si chiudono con l’arresto dello stesso Giampiero Gangemi all’esito dell’operazione Vicino della Procura di Roma: le accuse sono «estorsione, usura, ricettazione, minaccia e danneggiamento, aggravati dal metodo mafioso». Da un’altra operazione della Dda di Reggio Calabria, Martingala, emergerebbero invece i legami della famiglia Gangemi con Antonino Mordà, ritenuto «imprenditore espressione della ‘ndrangheta (in particolare attraverso una relazione di partecipazione generatasi nella cosca Araniti, ma poi estesa ad altre cosche cittadine). 
Il reticolo di rapporti tiene insieme gruppi imprenditoriali e cosche storiche di Reggio Calabria in nome di «relazioni» che, secondo la Dda, sarebbero «foriere di rilevanti profitti, riciclati dai Gangemi in ulteriori attività criminose».

Il prestito a Radiomarelli SA e la restituzione “chiesta” con «armi e munizioni da guerra»

Il riferimento è, ancora, all’operazione Vicino della Dda di Roma, nella quale si sarebbe «accertato un prestito usurario concesso da Sergio e Giampiero Gangemi alla società Radiomarelli SA pari, originariamente, a 13 milioni di euro, in relazione al quale» sarebbe stata pretesa «la restituzione di una somma pari a 25 milioni». Sempre secondo i pm «le condotte estorsive, volte alla restituzione del predetto prestito (tra cui un vero e proprio assalto armato notturno, a scopo intimidatorio, volto a danneggiare gravemente la casa della vittima a colpi di arma da fuoco), erano state consumate anche a mezzo di armi e munizioni tipo guerra, nonché di bombe a mano del tipo S.R.C.M. Mod 35 in uso all’Esercito Italiano e alle forze armate maltesi». Milioni di euro e bombe a mano: i due livelli (finanziario e militare) si fondono nelle ipotesi di accusa. Così come gli affari tra imprenditori considerati vicini alle cosche reggine. Mordà, per i magistrati, sarebbe «coinvolto nel medesimo settore economico della compravendita di autovetture in cui operava Sergio Gangemi ma, soprattutto, era emersa un’occulta relazione di solidarietà economica e criminale che lo legava al citato Giampiero Gangemi». 

Gli interessi si spostano in Abruzzo

I due, sempre secondo l’accusa, sarebbero «stati protagonisti di un imponente investimento immobiliare, funzionale alla edificazione del supermercato a marchio Eurospin nel quartiere di Gallico, unitamente ad un altro imprenditore coinvolto in plurimi procedimenti penali, per reati profittevoli: Domenico Gallo», condannato in primo grado nel processo Martingala. La storia dell’Eurospin consente agli inquirenti di ampliare il fronte dell’inchiesta. «Le indagini – sintetizza il gip distrettuale Antonino Foti – consentivano, infatti, di accertare plurime attività di intestazioni fittizie di imprese, nonché l’imponente infiltrazione della ‘Ndrangheta nella gestione del citato investimento ed infine le successive attività di riciclaggio ed auto-riciclaggio, funzionali al drenaggio delle risorse finanziarie dalle imprese che le avevano, apparentemente, accumulate a favore dei reali gestori dell’affare, nonché i successivi investimenti di siffatti profitti in ulteriori iniziative economiche». Quel grumo di interessi si sposta in Abruzzo: a Pescara gli investigatori avrebbero individuato attività sviluppate «da un circolo di soggetti prossimi a Domenico Giovanni (detto Dominique) Suraci, condannato in primo grado come imprenditore colluso con la ‘Ndrangheta e altri reati frodatori a danno dell’Erario nel procedimento Sistema-Assenzio». A investire in Abruzzo insieme con Suraci era Fortunato Martino, altro imprenditore arrestato dalla Dda di Reggio nell’operazione Planning e accusato di associazione mafiosa.

I tratti in comune tra gli imprenditor: rapporti con cinque cosche ai vertici della ‘ndrangheta

Il passaggio a Pescara chiude un altro cerchio. Per i pm, infatti, tra Martino «e Giampiero Gangemi si rinnovava, così, un sodalizio criminale – suggellato dalla cosca De Stefano – che i due avevano intrapreso in relazione alla edificazione di un fabbricato nel quartiere cittadino di Santa Caterina tra il 2011 ed il 2013». Questo allargamento degli interessi imprenditoriali vede nello stesso schema una serie di imprenditori reggini che, per le toghe antimafia, «avevano una caratteristica che li accomunava: avevano avuto rapporti di solidarietà criminale con la cosca De Stefano; sebbene questo non fosse l’unico tratto collusivo con la Ndrangheta reggina, atteso come la gran parte di loro vantasse anche ulteriori rapporti di solidarietà criminale con altre cosche (ad esempio: quella Tegano per il Suraci, quella Ficara-Latella per il Martino, quella Araniti e quella Condello per il Gangemi)». Una sorta di ‘Ndrangheta All Star, cartello criminale mafioso che salderebbe ingerenze mafiose e grossi interessi economici, schermature societarie indispensabili per speculazioni immobiliari e avvio di nuove attività in territori (ammesso che ne esistano) decentrati rispetto agli appetiti mafiosi. Una marea di denaro da ripulire, colletti bianchi presentabili e metodi spicci – è il caso delle bombe a mano dell’inchiesta romana – quando le cose non vanno come dovrebbero. (p.petrasso@corrierecal.it)

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