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La riflessione

«Calabria: terra ricca di povertà»

Il problema è la forza della proposta che s’intende realizzare. Non è il taglio politico, stretto o largo, che conta; il punto è se l’ipotesi con la quale si intende governare è soddisfacente e in…

Pubblicato il: 01/08/2022 – 8:30
di Franco Scrima*
«Calabria: terra ricca di povertà»

Il problema è la forza della proposta che s’intende realizzare. Non è il taglio politico, stretto o largo, che conta; il punto è se l’ipotesi con la quale si intende governare è soddisfacente e innovativa oppure ricalca la storia delle promesse fatte e non mantenute.
Governare non significa prendere le distanze dal passato o dissentire. Ciò che conta è se il valore della proposta è più che contrattuale: tu mi dai il consenso perché io intendo realizzare questo! Sostanzialmente è l’opposto di quanto si è fatto in questa città, quando il consenso era solo frutto della spartizione per arraffare tutto ciò che c’era da prendere. Un modo di agire non catalogabile con la politica specie in una provincia storicamente isolata, spogliata di tutto e abbandonata.
E, infatti, adesso a Catanzaro i cittadini sono al “redde rationem” perché la crisi determinata dalla precarietà finalmente li ha fatti svegliare dal torpore di decenni di vita non vissuta, durante la quale sono stati costretti a rimanere al palo, dal momento che qualcuno è riuscito a prendersi tutto ciò che c’era da prendere.
Se solo si riuscisse a comprendere cosa sia stato per Catanzaro (ma anche per le altre città della Calabria) il tempo perduto, se solo fossero riusciti a considerare questa regione come un’unica entità, i risultati oggi sarebbero migliori e sicuramente proficui per tutti.
La Calabria possiede ricchezze naturali mai sfruttate che, se valorizzate e propagandate sul territorio nazionale e anche all’estero, sarebbero state (e lo sarebbero anche oggi) fonte di benessere. E, invece, si è fatto l’impossibile per non considerarle e, in qualche caso, abbandonarle. Ci siamo lasciati coinvolgere dal provincialismo più gretto, quello conflittuale determinato da una stupida concorrenza interna, ma forse sarebbe meglio dire da ridicola rivalità, che non ha sortito mai niente, se non di essere frutto di quel modo insensato di vedere le cose sotto l’effetto del perché a lui si e a me no?
Così siamo stati capaci di perdere occasioni irripetibili che avrebbero potuto cambiare la storia della Calabria e il destino di migliaia di calabresi.
Ma forse qualcosa si può ancora fare. Decidere, per esempio, di razionalizzare gli interventi, lasciando all’industria le zone in cui il settore è già avviato e consolidato; restituendo al turismo estivo le tante spiagge disseminate lungo le coste dei nostri due mari; curando e propagandando, e soprattutto rendendole competitive, le strutture termali di cui disponiamo, grazie alle diversità organolettiche e curative delle loro acque.
In Calabria ci sono ricchezze naturali mai sfruttate in ossequio a quel principio deleterio del provincialismo che ci fa muovere a tentoni; il che peraltro significa non farci considerare come un’unica, vera, entità. Lo dimostrano i risultati che, in condizioni diverse, sarebbero stati proficui per tutti. Condizioni che in questa terra periodicamente si ripetono per poi essere dimenticate, come se il passato fosse stato vissuto da altri. Ricchezze mai sfruttate che, invece, avrebbero potuto restituire benessere. Abbiamo preferito abbandonarle perché diventate motivo di “rivalità”, così sono finite in fumo importanti occasioni che avrebbero potuto cambiare il destino di questa regione e la vita di molti calabresi. Forse sarebbe proprio questo il momento di fare ripartire il dibattito sulla “governance economica” in Europa. Su quelle regole c’è necessità di una approfondita riflessione sia per quanto riguarda l’economia e sia per “equipaggiare” il futuro restituendo certezza alla Calabria.
Mi domando: dopo questa filastrocca cosa potranno pensare catanzaresi che stanno assistendo ad uno spettacolo minimaledella politica locale? Quale ancora di salvezza potrà maiapparire all’orizzonte per consentirea questa o quella forza di aggrapparsi per “alleggerire” i contenuti di una politica effimera che appare come conclusiva ancor prima di cominciare, a Palazzo Santa Chiara?
Facile poi prendersela con l’elettorato. Qui la responsabilità grava, per intero, su chi ha gestito la campagna elettorale e sugli accordi da essa contenuti per sconfiggere l’avversario piuttosto che per costruire una realtà nuova capace di mantenere diritto il timone per condurre l’imbarcazione in un porto sicuro.
Mi domando, a questo punto, cosa sarà di Catanzaro oggi e domani. Oppure questo non deve interessare gli elettori (pardon: i portatori d’acqua)? Il sistema di saggiare la capacità per verificare il grado di forza con cui affrontare la campagna elettorale, va messo in opera prima e non dopo il risultato delle urne. Da quel momento in poi qualsiasi cosa verrà letta più come indice di fragilità politica che non come un lavoro per la premiership perché essa mette in evidenza solo problemi e dubbi circa i reali rapporti di forza e puo’ preludere ad una crisi del sistema ancora prima di cominciare.
*giornalista

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