CROTONE Zinga è una piccola frazione collinare del Comune di Casabona, nel Crotonese. Le case sono abbarbicate sulla roccia, e lo erano ancora di più quando tutto il nucleo abitato sorgeva su un vero e proprio “castrum” naturale, poi abbandonato a seguito di un terremoto. Alcuni resti delle cinte murarie sono ancora visibili. Sarebbe un anonimo borgo se non fosse per un fenomeno che si registra solo qui in Italia, e in poche altre parti del mondo: il diapirismo salino. Un “diapiro” è una roccia fusa che risale in superfice attraverso strati di altre rocce più dense. E a Zinga questo succede con il sale. L’attrazione del paese sono infatti i “diapiri salini”, dei veri e proprio fiumi di sale, alcuni solidificati, altri ancora “vivi”, che è possibile ammirare con una breve passeggiata di qualche chilometro, appena fuori dal centro abitato, nella vallata del fiume Vitravo, oggi quasi in secca.
Il geologo Mario Cimieri sta facendo, insieme al gruppo di Italia Nostra, un’opera di coinvolgimento di residenti e turisti per valorizzare questi luoghi. «Questo sito è unico in Europa per estensione e dimensioni, perché ci sono più diapiri salini, ed è l’unico in Italia dove si osserva il fenomeno», dice il geologo all’Agi.
«Sono rocce evaporitiche – spiega – legate ad un evento geologico che si è verificato 5,6 milioni di anni fa, la crisi di salinità del Messiniano, cioè quando lo Stretto di Gibilterra si chiuse per movimenti tettonici e il Mar Mediterraneo non aveva più scambi di acque con l’Oceano Atlantico, più freddo. E quindi – racconta Cimieri – il Mediterraneo iniziò ad evaporare, trasformandosi in un enorme lago salato». E intanto, scendendo dal crinale verso la vallata, cominciamo ad intravvedere il bianco del sale che “trasuda” dalle rocce più scure. «Tutte queste aree erano sommerse dal mare, e ce lo dice sia la presenza dei diapiri che quella di molti fossili che ancora si trovano con facilità in queste colline». Cimieri si china per raccogliere una pietra. La gira e scopre i resti di una conchiglia fossilizzata. Rimette la pietra al suo posto e continuiamo a scendere nella valle. «Il sale si è dunque depositato e compattato, a causa dei sedimenti che lo sovrastavano, e piano piano però ha iniziato a fluire verso l’alto, perché più leggero delle altre rocce – spiega ancora il geologo – grazie anche ai movimenti tettonici. I canali preferenziali per la risalita sono le fratture e le faglie».
Si arriva proprio vicino alle acque del fiume, e da un incavo nella roccia si vede bene il fluire, quasi pietrificato, del sale, che poi si concentra in una sorta di laghetto. Bianco. Immacolato. Sembra neve. «Ancora oggi alcuni anziani del paese vengono a raccogliere il sale qui, perché dicono che è migliore di quello che si acquista – dice Cimieri – ed è vero che è purissimo. Fino agli anni 60 si sfruttava industrialmente, c’erano delle miniere a bassa profondità, visto che il sale si trova anche in superficie. E ci sono ancora i ruderi delle caserme della Guardia di Finanza, che controllava l’estrazione del sale».
Ma perché sono importanti i diapiri di Zinga? «Perché all’interno di queste formazioni di sale sono state trovate delle microgocce di acqua, risalenti a più di 5 milioni e mezzo di anni fa, che contengono delle piccole alghe. Insomma, vita! Ed è stato possibile evidenziare – aggiunge il geologo – i livelli di salinità e temperatura del Mar Mediterraneo a quell’epoca, grazie a studi condotti da Rocco Dominici e Mara Cipriani, dell’Università della Calabria». Ma ci sono stati anche ricercatori arrivati qui da altre parti del mondo, per osservare e studiare questo fenomeno. Quello che sorprende maggiormente è il diapiro salino di Russomanno, una delle localitaà della vallata. Sembra quasi di osservare delle piccole Dolomiti, con le loro guglie aguzze che risplendono, sotto i riflessi della luce del sole. «Questo è diverso dagli altri – dice Cimieri – ha un differente aspetto: è più traslucido, ha una presenza di sale maggiore. I diapiri si sono formati in un arco temporale di circa 200.000 anni, quindi ognuno con modalità diverse nel tempo».
Ma quale sarà il futuro di questo geosito? «Come associazione “Italia Nostra – Casabona e Valle del Neto” stiamo puntando su una tipologia di geoturismo, per far conoscere a tutti questo luogo – afferma ancora Mario Cimieri – perché qui si possa vivere un’esperienza naturalistica e anche geologica, per interessare alla materia anche le nuove generazioni. Chissà, magari intercetteremo futuri geologi». (Agi)
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