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Cold case

Delitto di Via Poma, al via nuove indagini. Dubbi su alcuni alibi

La Procura di Roma ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio di Simonetta Cesaroni. Fu uccisa nel 1990 nella Capitale

Pubblicato il: 03/08/2022 – 17:00
Delitto di Via Poma, al via nuove indagini. Dubbi su alcuni alibi

ROMA È forse il cold case per eccellenza: l’omicidio di Simonetta Cesaroni, uccisa con 27 coltellate il 7 agosto del 1990 in via Poma a Roma. Un giallo che non ha ancora un colpevole a distanza di 32 anni. Indagini, processi e un infinito numero di piste investigative non sono riusciti a dare un nome a chi uccise, in modo brutale l’allora ventenne, in un appartamento al terzo piano di uno stabile nel cuore del quartiere Prati, nell’ufficio dell’Associazione alberghi della gioventù.
Ora la Procura di Roma ci sta riprovando con un nuovo procedimento avviato da qualche mese dopo una denuncia presentata dai familiari della ragazza.

Le nuove indagini

Il fascicolo in una prima fase è stato aperto come modello 45, ossia senza indagati o ipotesi di reato ma poi è stato incardinato per omicidio volontario contro ignoti, stato in cui attualmente versa. Sono state svolte una serie di audizioni dalle forze dell’ordine a cui i pm di piazzale Clodio hanno affidato le indagini. Ad essere ascoltate anche persone entrate in contatto, in passato, con personaggi lambiti della indagini. Al centro degli accertamenti un sospettato che già all’epoca dei fatti finì nel mirino degli investigatori.
Al momento pero’, in base a quanto riferiscono fonti inquirenti, non è emerso «nulla di nuovo e rilevante» rispetto a quanto accertato negli anni.

Verifiche sull’alibi di un sospettato


Chi indaga ha ascoltato anche l’allora dirigente della Squadra Mobile, Antonio Del Greco che mesi fa avrebbe raccolto la testimonianza di una donna che avrebbe smentito l’alibi di uno dei personaggi finiti nelle indagini svolte in passato. Gli inquirenti in questo ambito hanno analizzato anche una serie di documenti gia’ finiti negli atti dei vecchi procedimenti. L’attività dei pm viaggia parallela con quella della commissione parlamentare antimafia che nelle settimane precedenti alla crisi di governo e allo scioglimento delle Camere ha avviato una istruttoria sul caso.
Un faro acceso su eventuali depistaggi messi in atto per sviare gli inquirenti e rendere impossibile l’accertamento della verità. I parlamentari hanno acquisito carte e proceduto anche ad alcune audizioni, comprese quelle di alcuni familiari di Simonetta.

L’iter giudiziario

Dal punto di vista giudiziario, comunque, l’ultima sentenza sull’omicidio risale al febbraio del 2014 con la pronuncia della Cassazione che ha confermato l’assoluzione per Raniero Busco, l’ex fidanzato della ragazza, che in primo grado era stato condannato a 24 anni di carcere. Verdetto ribaltato già in appello. Riavvolgendo il nastro riemerge un dedalo infinito di ipotesi, di sospetti: una galleria di personaggi che si sono avvicendanti sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti.

La vicenda

Il 7 viene trovato il corpo della ragazza: il cadavere è trovato per l’insistenza della sorella Paola, preoccupata per il fatto che la giovane non fosse tornata a casa.
Simonetta è nuda, ma non ha subito violenza.
Secondo l’autopsia è morta tra le 18 e le 18,30. Pochi giorni dopo, il 10 agosto, viene fermato dalla polizia, Pietrino Vanacore, uno dei portieri dello stabile.
Su un suo pantalone vengono individuate alcune macchie di sangue ma non è sangue di Simonetta. L’uomo viene scarcerato dal tribunale del Riesame il 30 agosto.
Gli inquirenti cercano sia nella cerchia di amicizie della ragazza, a cominciare dal fidanzato di allora, sia negli ambienti di lavoro.
Il pm Pietro Catalani, dopo alcuni mesi di indagini, chiede l’archiviazione della posizione di Salvatore Volponi, datore di lavoro della Cesaroni. Il 26 aprile del 1991 il gip archivia gli atti riguardanti Pietrino Vanacore e altre cinque persone. Il fascicolo resta aperto contro ignoti.
Trascorre circa un anno, il 3 aprile del ’92 viene inviato un avviso di garanzia a Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare Valle, che abita nel palazzo di via Poma e che la notte del delitto ha ospitato Vanacore.
Valle viene tirato in ballo dalle dichiarazioni dell’austriaco Roland Voller, amico della madre di Valle, secondo il quale dai racconti della madre sarebbe emerso che il figlio tornò sporco di sangue da via Poma.
Il 16 giugno 1993 il gip proscioglie Valle per non aver commesso il fatto e Vanacore perche’ il fatto non sussiste. L’indagine entra in una lunga fase di stallo.
Nel settembre del 2006 vengono sottoposti ad analisi i calzini, il corpetto, il reggiseno e la borsa di Simonetta.
Il colpo di scena arriva con i risultati delle analisi effettuate dai Ris: sugli indumenti della ragazza, grazie a sofisticate strumentazioni, vengono rilevate delle tracce di saliva dell’ex fidanzato Busco che nel settembre del 2007 viene iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario. Gli investigatori, inoltre, prelevano l’impronta dell’arcata dentaria di Busco, al fine di confrontarla (attraverso le foto autoptiche del 1990) con il morso riscontrato sul seno di Simonetta: l’arcata dentaria di Busco s’integra con l’individuazione del suo Dna sul corpetto ed il reggiseno.
Il 3 febbraio del 2010 inizia il processo a carico dell’ex ragazzo che vive anche di nuovi colpi di scena: il 9 marzo, a pochi giorni dalla sua prevista deposizione, si toglie la vita Pietro Vanacore. Dopo tre gradi di giudizio Busco viene completamente scagionato dalle accuse.

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