Chissà se tanti conoscono la brillante carriera universitaria di Francesco De Gregori, culminata con la laurea in storia a La Sapienza, nei primi anni settanta. Relatore della sua tesi fu il grande Renzo De Felice, ordinario alla università romana , socialista, autore della più grande opera omnia di analisi sul fascismo. Assistente, il futuro direttore del corriere della sera, Paolo Mieli. E la tesi del cantautore romano non poteva non riguardare il Mussolini socialista, quella parentesi sostanziale e giovanile del Duce che affascinava tanto De Gregori al punto da dedicargli Il suo lavoro finale. Non una discussione sul regime ma sull’adesione alla tesi socialista e l’influenza di Proudhon nella formazione del direttore de L’Avanti tra gli inizi del novecento e lo strappo del 1914. De Gregori traccio’ il percorso giovanile di Mussolini, dal diploma di maestro elementare, l’esilio in Svizzera, sino all’attività organica nel Psi. Per il cantautore la successiva creazione del fascismo, così come sostenuto da De Felice, partii ovviamente dalle radici socialiste, recuperate successivamente alla tragedia della guerra, a Salò, e fautrici delle riforme sociali. Era privo di scrupoli ma estremamente intelligente – disse l’”autore de La donna cannone – una figura che De Felice mi rese familiare pur nella sua doppiezza. De Gregori passò dallo studio di Marcuse a quello del fondatore del regime, trascinato dal carisma del suo mentore , capace di resistere alle critiche di Amendola e del Pci. Era straordinario e carismatico – parlava a proposito del docente – lontano dalla algida rappresentazione baronale dell’epoca. E da lì, ricordando la morte crudele dello zio paterno ucciso dai partigiani di Tito, il cantante attraversò la fase di emanazione di Lotta Continua per giungere a scrivere Il cuoco di Salò. Una conciliazione grammaticalmente ineccepibile sottolineata dalla parte sbagliata ma, per De Gregori, essenzialmente estetica. La canzone descrive il crollo del ventennio con la esegesi di una guerra civile che coinvolge ragazzini e innocenti. Non parla della tragica capitolazione di Mussolini, De Gregori, né delle leggi razziali, né dalla follia del patto di acciaio. Rimane concentrato sull’aspetto socialista del Duce, considerando di fatto la sua dimensione in un dramma shakespeariano tutto interno alla sinistra. Un concetto anticipato dagli elogi di Lenin all’uomo di Predappio e sigillato da una vasta letteratura postuma sul fascismo immenso e rosso che vide impegnati , da Erra ad Accame, autori di autorevolezza. Proprio Francesco il romano, colto e geniale, obbedì alla lezione del suo maestro per togliere il fascismo dalla collocazione arbitraria di destra. E così, dal “generale”, arrivo ‘quella che non è un’attenuante morale per Mussolini e il fascismo ma un’osservazione angolare. Per consegnare al destino storico la sua analisi, per tentare di capire quel personaggio da mille sfaccettature che ancora inquieta i sonni di generazioni lontane, incapaci di capire che la sua propagazione non esiste… Al di là del bene e del male.
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