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«L’ossessione del potere: regolare il mercato con le guerre»

Qualcuno mi definirà dietrologo. Qualcun altro complottista. Non m’importa. E poi, di recente, Einaudi, nella collana “Vele”, ha pubblicato un interessante volumetto della filosofa Donatella Di Ce…

Pubblicato il: 09/08/2022 – 8:52
«L’ossessione del potere: regolare il mercato con le guerre»

Qualcuno mi definirà dietrologo. Qualcun altro complottista. Non m’importa. E poi, di recente, Einaudi, nella collana “Vele”, ha pubblicato un interessante volumetto della filosofa Donatella Di Cesare dal titolo “Il complotto al potere”, che prova a cambiare radicalmente prospettiva sui fenomeni della dietrologia e del complottismo, appunto.
Nel libro si sostiene che quando i poteri che governano il mondo (fuor di metafora: l’alta finanza) vogliono agire indisturbati, basta suscitare nei cittadini, attraverso l’agire politico e gli strumenti di persuasione di massa, il dubbio che sia già tutto preordinato, pensato, deciso. È così che si produce, secondo la Di Cesare, la “depoliticizzazione di massa” cioè la sfiducia diffusa nell’utilità del dibattito politico. Ne sono prova, dal mio più modesto punto d’osservazione: il crescente astensionismo elettorale (“che votiamo a fare?”); l’omologazione fra politiche di destra e di sinistra (salvo qualche dettaglio in tema di diritti civili); il conformismo delle grandi testate giornalistiche; l’idea che in Italia non possa esservi un governo di destra perché non avremmo una “destra normale” (ma chi decide, in una democrazia elettiva, se i partiti sono buoni o cattivi?).
Le tesi della Di Cesare sono esposte, in un diverso contesto di scienze sociali riferito al potere che viene dal controllo dei “big-data” e dalle nuove tecnologie informatiche, anche nel famoso libro di Shoshana Zuboff “Il capitalismo della sorveglianza”, molto apprezzato in USA, poco letto in Europa.
Ma la cartina di tornasole di quanto affermo è lo stato di conflitto ormai permanente fra quelli che, per semplificare, chiameremo “blocco occidentale” e “blocco orientale”. La sensazione è che quel che sta accadendo non sia frutto di semplici aggressioni di paesi democratici da parte di nazioni totalitarie e guerrafondaie. Gran parte della gente pensa, invece, che vi sia dietro una precisa strategia e che questa venga proprio dall’Occidente. Gli USA, con la guerra in Ucraina, vorrebbero dare l’ultima spallata alla Russia di Putin e, con iniziative, altrimenti inesplicabili, come quella della Pelosi a Taiwan, tenterebbero di far esporre la Cina, per saggiarne le capacità militari. Una volta avuta la prova, che in entrambi i casi, non siamo di fronte a superpotenze invincibili, gli strateghi americani ambirebbero a regolare i conti con entrambe. Per altro, Russia e Cina godono di ampio credito fra i paesi del Terzo Mondo, ed hanno come sodale l’India, un altro colosso sul piano demografico e commerciale. E tutto questo non può essere tollerato dagli USA. Dunque l’Occidente a trazione americana si sente chiamato ad una prova epocale: ristabilire l’ordine mondiale che le bizzarrie della Storia hanno rimesso in pericolo ed inaugurare una definitiva superiorità politica, militare ed economica del blocco occidentale. Se il disegno si realizzasse non sarebbe più solo “globalizzazione” ma una globalizzazione assoluta e totalitaria, in cui unici motori anche politici delle società post-moderne sarebbero il mercato, i consumi, la grande finanza e la sorveglianza di cui parla la Zuboff nel suo libro.
Una buona parte dell’intellighenzia occidentale – anche quella democratica, laburista e di sinistra – è ormai appiattita su questa linea. Le invettive anti-islamiche di Oriana Fallaci dopo gli attentati alle Torri Gemelle furono i prodromi dell’orgoglio occidentale “progressista” e neo-illuminista, che si sentiva colpito al cuore della sua sicurezza, violato nella sua intimità più profonda. Gradualmente, quest’idea di superamento di una sorta di passività occidentale è montata, producendo un’infinità di libri ed articoli che incitano ad una sorta di nuova “guerra santa” contro ciò che, di volta in volta definiamo con parole spregiative: integralismo, totalitarismo, oscurantismo etc. Fino a giungere al recente libro sulla Cina di Federico Rampini dal titolo sintomatico e programmatico: “Fermare Pechino”.
Ma a rendere ormai furiosi gli strateghi occidentali c’è la sostanziale saturazione dei mercati occidentali sia per questioni demografiche, sia per il limite naturale che si frappone alla bulimia di bisogni indotti da cui siamo quotidianamente contaminati. Sicché l’unico modo di far crescere ancora i consumi è quello di conquistare i vastissimi mercati del blocco orientale, Cina e India in particolare.
L’Occidente a trazione USA, per realizzare questo progetto, crede di poter contare su un sistema di alleanze distribuito su tutto il Pianeta: Israele in medio oriente; il Canada nell’America del Nord, i paesi arabi amici in Africa; la UE in Europa; il Giappone, l’Australia, la Nuova Zelanda in estremo oriente, etc. Ecco il perché di una mossa apparentemente così maldestra come quella di spedire Nancy Pelosi a Taiwan. La gente “normale” si domanda come sia possibile mettere a rischio il precario equilibro nel Mar della Cina per una banalità ed immagina perciò stesso, per tornare all’argomento d’apertura, che “dietro” debba esservi una precisa strategia, che gli USA abbiano già deciso di provocare uno scontro anche con la Cina, che gli aneliti di pace e di rispetto delle diversità che vengono propagandati sui media occidentali costituiscano solo uno specchietto per le allodole. Dove con il termine “allodole”, intendo tutti noi che ancora confidiamo nella ragionevolezza del potere, nel funzionamento automatico del sistema democratico, nel dogma del mercato che si “autoregola” sì, ma con le guerre.

*avvocato e scrittore

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