CATANZARO C’è un effetto domino che si è verificato dallo scoppio della guerra in Ucraina e che ha investito in pieno le economie soprattutto delle aree più deboli dell’Europa come la Calabria. Mostrando in toto la fragilità accentuata dalla crisi pandemica che non ha terminato ancora i suoi effetti tossici sul sistema produttivo e socio-economico locale. Più che in altre parti del Paese.
Ed è l’agricoltura il comparto che rappresenta una sorta di cartina al tornasole di quanto sta avvenendo a seguito delle fibrillazioni innescate dalla guerra. Il settore infatti già risentiva degli effetti di uno scenario avverso rappresentato da un meccanismo perverso del mercato mondiale premiante di una rincorsa al ribasso dei prezzi all’ingrosso delle principali produzione agricole e di una contestuale impennata dei costi delle materie prime e dell’energia.
Fattori che stanno pesando sulle spese sostenute dagli imprenditori e che conseguentemente hanno fatto lievitare il prezzo finale dei prodotti per i consumatori. Aspetti che il conflitto scoppiato in piena Europa – di cui ancora non si conosce la fine – non ha fatto altro che implementare. Innescando un fenomeno inflazionistico che non si vedeva da anni.
L’ultima rilevazione dell’Istat, indica che i prezzi sono cresciuti a luglio del 7,9% rispetto ad un anno addietro. Una crescita che ha interessato soprattutto il cosiddetto “carrello della spesa”: +9,1%. Una lievitazione che non si vedeva da settembre del 1984.
Una impennata dei prezzi che è finita per colpire le fasce più deboli della popolazione e nei territori maggiormente fragili come quello calabrese.
Un mix da tempesta perfetta in cui eventi climatici avversi come la siccità ne sono artefici non secondari.
Tutti elementi che peseranno sempre più sulle tasche di consumatori e imprenditori.
Dimostrando che qualcosa nelle politiche agricole degli ultimi decenni non ha funzionato. La corsa alla globalizzazione con la conseguente ricerca del prezzo più basso da spuntare non ha fatto che indebolire intere filiere produttive calabresi un tempo redditizie come quella cerealicola, ad esempio. Rendendo sempre meno conveniente investire nel comparto primario e che ha portato all’inevitabile effetto dell’abbandono dei campi per la perdita di redditività del settore.
Ne sono esempio il progressivo spopolamento della aree interne della Calabria che pone la regione tra le zone in cui il fenomeno prende dimensioni record in Europa anche nel futuro prossimo.
Eppure le potenzialità tese quantomeno a contenere la riduzione di produzioni agricole ed energetiche per le varie tensioni internazionali – tra cui la guerra in Ucraina – ci sarebbero anche a livello locale. A partire dalla capacità delle aziende di produrre cereali, ad esempio, una delle filiere agricole maggiormente messe in difficoltà dal conflitto prima dell’accordo tra Mosca e Kiev per il via libera all’esportazione del grano.
Nell’ultima rilevazione dell’Istat, emerge che nel 2020 erano presenti in Calabria 13.049 aziende dedite alla produzione di cereali su un totale di 48.316 dedite ai seminativi. Complessivamente la superficie utilizzata a cereali è pari 52.425 ettari, circa un terzo del totale complessivo (166.052 ettari). Dati entrambi in decrescita se confrontati con quelli del 2016, quando le aziende attive erano 22.570 e soprattutto la superficie destinata alle produzioni cerealicole era 77.620 ettari. Numeri che fanno comprendere da un verso le potenzialità e nel contempo la perdita di aree destinate a queste produzioni, ora entrate in sofferenza. Un discorso che, in realtà vale anche per altre coltivazioni finite al centro delle tensioni commerciali.
E poi c’è la partita delle aziende che stanno diversificando, investendo nelle rinnovabili. Un settore che potrebbe divenire strategico ai fini della produzione energetica complessiva della regione.
Secondo gli ultimi dati Istat disponibili (relativi al 2013 per biogas e biomassa e al 2016 per gli altri) le aziende agricole in Calabria che utilizzano impianti di produzione di energia rinnovabile sono 630 (in Italia sono 45.989). La realizzazione di impianti da energia solare coinvolge il maggior numero di aziende (608) rispetto all’eolico (9), alla biomassa (7) e al biogas (6). Mentre, le aziende agricole in Calabria con attività remunerativa connessa alla produzione di energia rinnovabile sono 478 (in Italia sono 24.216). La produzione di energia rinnovabile rispetto alle altre attività remunerative connesse, rappresenta il 4% (in Italia 12%). Numeri che danno la misura anche qui delle potenzialità del settore per contribuire al contenimento della bolletta energetica ed alla possibilità di aiutare l’economia complessiva della regione.
Ed infine c’è da mettere sul piatto della bilancia il calo della superficie agricola utilizzata. Un indice che in parte fa comprendere il fenomeno dell’abbandono dei campi. In Calabria restando solo all’esempio del frumento duro (quello del grano, per intenderci) si è passati da 58.860 ettari del 2000 a 23.092 dello scorso anno. Un calo che in termini percentuali si è tradotto in una flessione di oltre 60 punti.
Non crede ad un’autosufficienza agricola, ma nel contempo che qualcosa si possa attivare per ridurre quantomeno la dipendenza energetica. Anche in ambito locale. È in sintesi il pensiero di Tatiana Castellotti, ricercatrice al Centro per le ricerche agroalimentari e l’analisi dell’economia agraria (Crea). Secondo Castellotti, comunque la soluzione alle crisi passa da una «pianificazione di lungo periodo». «Per affrontarle – dice – non si può lavorare in chiave emergenziale, ma programmando interventi».
Tra i settori maggiormente esposti agli effetti della guerra in Ucraina, c’è il cerealicolo. Quali conseguenze ci sono state in Calabria?
«Secondo numerosi esperti, gli aumenti dei prezzi dei cereali non sono causati da una scarsità dell’offerta ma da movimenti speculativi sui prezzi. Infatti, la produzione mondiale di cereali non ha subito una battuta d’arresto perché la riduzione della produzione ucraina è stata compensata dalla produzione di altri Paesi. Se guardiamo alla Calabria, gli effetti sull’agricoltura vanno visti in un quadro generale. Le reazioni sui mercati nazionali e internazionali della crisi, generata dalla guerra in Ucraina, si sono sommati a quelli della crisi pandemica. La situazione dell’Italia è una situazione particolare perché ha mostrato una certa capacità di attenuarne gli effetti grazie alla diversificazione del sistema agroalimentare e dei mercati di sbocco. Per questo, gli effetti sul sistema agroalimentare nazionale sono stati inferiori rispetto ad altre aree, come i Paesi in via di sviluppo, che sono dipendenti dalle importazioni delle nazioni in guerra».
Ci sono iniziative che potrebbero essere attivate per aumentare l’uso di terreni in Calabria al fine di compensare la dipendenza da produzioni agricole?
«La Calabria ha un peso trascurabile sulla bilancia commerciale agroalimentare italiana: meno di un punto percentuale sia sull’import che sull’export, anche se il settore agroalimentare rappresenta un’importante fetta delle esportazioni totali calabresi, pari al 63%. La Calabria non ha significativi scambi commerciali con l’Ucraina. Le esportazioni regionali verso l’Ucraina rappresentano lo 0,3% delle esportazioni nazionali verso questo Paese. Prossimo allo zero è anche il valore delle importazioni di prodotti agroalimentari dall’Ucraina dalla quale acquistiamo esclusivamente oli e grassi vegetali e animali. È vero però che l’invasione della Russia da parte dell’Ucraina ha messo in risalto il problema dell’autosufficienza alimentare a livello europeo. Tuttavia, non ha senso parlare di sovranità alimentare per il sistema agroalimentare italiano perché il nostro tessuto agricolo non può fisicamente garantire l’autosufficienza di tutte le materie prime necessarie per le produzioni nazionali destinate al consumo interno e all’esportazione (quest’ultima, peraltro, in costante crescita). Se questo vale per l’Italia, vale ancora di più per la Calabria».
E la crisi si è riversata anche nel settore delle energie. La forte dipendenza dal metano ha riproposto il tema della diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Quale contributo potrebbe apportare la Calabria ad per esempio con la produzione di agroenergie?
«Il costo dell’energia rappresenta senza dubbio una problematica di primaria importanza per le imprese, non solo in questo momento storico. Per questo nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza le risorse destinate alla produzione energetica sono estremamente rilevanti. A questo proposito, nell’ambito dell’attuazione del PNRR, è previsto l’avvio del “Parco Agrisolare”, a cui sono dedicate risorse pari a 1,5 miliardi di euro. Il 40% delle risorse è riservato al finanziamento di progetti da realizzare nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Obiettivo della misura è sostenere gli investimenti per la realizzazione di impianti fotovoltaici su edifici a uso produttivo nei settori agricolo, zootecnico e agroindustriale, escludendo totalmente il consumo di suolo. Senza contare che la diversificazione in agricoltura rappresenta una delle più significative strategie adottate dalle imprese del settore per rispondere ai problemi legati alla crisi economica generale e per migliorare la propria competitività. Secondo i dati riportati nell’ultimo Annuario dell’Agricoltura Italiana del Crea, le attività di produzione di energia da fonti rinnovabili registrano un rafforzamento (+0,8%), che rappresenta da sola la metà del valore delle attività secondarie dell’agricoltura italiana. Da questo punto di vista le aziende agricole calabresi hanno ampi margini di miglioramento. Allo stato la Calabria produce l’1% del biogas nazionale e sono attivi 10 impianti per una produzione di potenza di 6 MW. Sul fronte degli impianti fotovoltaici la potenza complessiva installata in Calabria è pari 573 MW mentre nel settore agricolo è di 61 MW, pari al 2,4% dell’energia fotovoltaica agricola prodotta in Italia. Inoltre, i consumi diretti di energia termica da rinnovabili nel settore agricolo in Calabria, sono pari allo 0,1% del consumo nazionale. Altra importante fonte di energia è la biomassa legnosa, legna e legname, cioè la domanda di energia da biomassa legnosa cresce in Italia come in Europa. L’Italia, e la Calabria, non avendo una industria forte nella prima trasformazione del legname, la biomassa legnosa per energia rimane la prima fonte di produzione forestale. L’Italia ha una grossa industria della seconda trasformazione del legname (per la produzione di mobili) ma che lavora con il legname importato, per cui in Italia l’80% della biomassa estratta dai nostri boschi finisce a fini energetici. La Calabria non si discosta dalla situazione nazionale. Ne è derivata una selvicoltura che non è orientata alla produzione di materiale legnoso di qualità ma di quantità. La prima trasformazione del legno attraverso le segherie, permette però la produzione di materiali di scarto alla base della produzione di pellet. Quindi, migliorare la produzione aumentando la percentuale di prodotti di materiale da opera, riducendo la produzione della legna da ardere, permetterebbe anche il miglioramento della produzione di energia. L’utilizzo a cascata del legno, secondo quanto prevede la Strategia Forestale Nazionale, e l’utilizzo per fini energetici solo degli scarti della lavorazione del legno per altri fini. Molte comunità dei territori montani calabresi potrebbero essere autonome dal punto di vista energetico attraverso reti di teleriscaldamento grazie all’uso sostenibile e razionale del proprio patrimonio forestale commisurato alle reali capacità di approvvigionamento del territorio, quindi facendo ricorso anche ad una combinazione di fonti energetiche».
Complessivamente quale strategia dovrebbe essere adottata per sostenere il settore agricolo calabrese. E permettergli di contenere le fibrillazioni legate alle varie emergenze?
«Le soluzioni alla crisi non possono essere in chiave emergenziali, ma va fatta una pianificazione regionale di lungo periodo attraverso la definizione di una chiara strategia che punti alla sostenibilità del contributo del settore agricolo e forestale alla produzione energetica regionale e preveda il coinvolgimento attraverso il confronto tra tutti gli attori in campo. Vale per tutti i campi. Ad esempio i margini di miglioramento nella produzione di energia rinnovabile regionale sono ampi per cui non resta che programmare». (r.desanto@corrierecal.it)
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