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Rinascita Scott, la gelateria di Vibo Marina venduta a suon di attentati

Secondo il racconto del collaboratore Guastalegname, un imprenditore si sarebbe rivolto ai Piscopisani per convincere il proprietario del locale a cedere la propria attività

Pubblicato il: 15/08/2022 – 15:12
di Alessia Truzzolillo
Rinascita Scott, la gelateria di Vibo Marina venduta a suon di attentati

CATANZARO L’ingerenza delle cosche nel Vibonese non interessa solo le grandi imprese e gli appetibili appalti pubblici ma condiziona la vita anche delle piccole ditte e dei piccoli esercizi commerciali. Questo traspare dai racconti di Antonio Guastalegname, 54 anni, collaboratore di giustizia originario di Vibo Marina (poi trasferitosi ad Asti) e vicino alle cosche del luogo che orbitavano intorno alla figura del boss Luigi Mancuso. Dal traffico di droga e armi, ai propositi per uccidere Salvatore Morelli e Andrea Mantella (all’epoca al vertice della criminalità emergente nella città di Vibo Valentia), ai patti con la tifoseria juventina dei “Drughi” in Piemonte per vendere droga nello stadio della Juventus fino alle entrature dell’avvocato Pittelli in Corte d’Appello e in Cassazione. Il racconto di Guastalegname è variegato. Lui dice di non essersi mai affiliato alla ‘ndrangheta – anche se l’offerta di una dote gli era stata fatta – ma poi aggiunge «io di Vibo Marina sono, ho vissuto sempre in mezzo a loro», dove “loro” sono soprattutto Nazzareno Colace – «sapevo che era un pezzone grosso vicino a Pantaleone Mancuso» – e, gli uomini di “zio Luigi” Mancuso. Guastalegname – che è anche imputato nel processo Rinascita Scott con l’accusa di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e detenzione di stupefacenti – è un fiume in piena mentre parla con il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo. Difficile reggere le briglie dei suoi lunghi racconti che, spesso, hanno il difetto di saltare di palo in frasca.

Il locale venduto grazie all’intervento dei Piscopisani

Antonio Guastalegname

Dalla narrazione di Guastalegname salta fuori anche la vicenda del gestore di un bar in corso Michele Bianchi, a Vibo Marina, al quale i proprietari del locale aveva deciso di non rinnovare più l’affitto. Il nome dell’imprenditore ritorna nelle carte di Rinascita in merito a episodi che vedono protagonista Antonio Vacatello (appartenente alla locale di Zungri e considerato il capo ‘ndrina di Vibo Marina). Secondo l’accusa, Vacatello avrebbe cercato di costringere il proprietario di un bar a pagare una somma di denaro a titolo estorsivo. Successivamente avrebbe costretto la stessa persona a cedere la l’attività imprenditoriale «a soggetti a lui graditi e parimenti condizionabili». In seguito Vacatello avrebbe cercato di imporre all’uomo di assumere personale a lui gradito, non riuscendovi. Ma, tornando a Guastalegname, il collaboratore racconta che, nello stesso periodo in cui non viene rinnovato il contratto di fitto, un imprenditore di Pizzo aveva un chiosco a Vibo Marina e stava costruendo un locale nuovo sul porto «dalla parte vicino dove c’è il bar di Vacatello». L’uomo stava ampliando la struttura avendo ottenuto il permesso dalla Capitaneria.
A questo punto l’imprenditore che sarebbe stato vicino al clan avrebbe avuto in animo di acquistare questo nuovo locale. Il proprietario non voleva vendere e l’uomo si era rivolto ai Piscopisani. All’epoca ai vertici della cosca dei Piscopisani c’erano Davide Fortuna, Rosario Battaglia «tutti», dice Guastalegname. L’imprenditore si rivolge a Rosario Battaglia che gli assicura, racconta il collaboratore: «Non ti preoccupare che te lo facciamo prendere noi». Così i Piscopisani, ogni volta che i lavori di ampliamento andavano avanti «o gli mettevano la bomba… non lo facevano mai finire questo lavoro», racconta il collaboratore. A questo punto il titolare, preso per sfinimento, «ha dovuto vendere». Secondo Gustalegname, l’imprenditore vicino al clan ci «ha messo i soldi», ha comprato il locale, se l’è intestato, «però in quel bar c’è la parte di Davide Fortuna (ucciso in spiaggia a luglio 2012, ndr), che adesso la parte va al fratello Sasà, per la moglie di Davide Fortuna, e di Battaglia, sono soci, questo vi voglio dire, capito, non sono sulle carte, capito, perché il bar è stato… Lo ha acquistato tramite i Piscopisani».
Guastalegname racconta di avere saputo questi fatti da Nazzareno Colace e dallo stesso imprenditore che acquistò il locale tramite l’intercessione della cosca. «Mi disse: “Devo ringraziare loro che mi hanno…”», racconta il collaboratore. Lo stesso Guastalegname un giorno avrebbe detto all’imprenditore: «“Ringrazia ai Piscopisani” e lui si metteva ridere». Il pentito afferma di avere anche visto «persone vicino a Sasà o la moglie che andavano a prendere ogni mese i soldi», nel senso che il proprietario «ogni mese gli dà la parte alle famiglie».

La «zecca» che comanda Vibo Marina

Antonio Guastalegname racconta che ogni tanto vedeva pure Antonio Vacatello andare al bar a chiedere «100 o 200 euro». Ma il collaboratore non sa spiegare a quale titolo Vacatello andasse a chiedere denaro.
Il magistrato De Bernardo chiede com’erano all’epoca i rapporti tra Vacatello e i Piscopisani. Secondo Guastalegname «Vacatello è come una bandiera, come il vento, lui si infila a tutte le parti». I rapporti «in un primo periodo erano buoni» poi i Piscopisani cominciano a «non fidarselo» perché Vacatello «era come… lo chiamavano come una “peducchia” una… come si dice, praticamente quando dicono che Tony Vacatello comanda Vibo Marina, voglio dire, … è come un pidocchio, è come una zecca, così diciamo noi».

La rabbia contro “parrucchino” sponsorizzato dai Piscopisani

Il fatto che i Piscopisani fosse divenuti “azionisti” di un bar, era cosa che non andava giù alle cosche vicine ai Mancuso, visto che tra i due gruppi esisteva un forte attrito. Guastalegname racconta che in una occasione aveva proposto a Nazzareno Colace di prendere un gelato nel locale dell’uomo, soprannominato “parrucchino”. Ma Colace rifiuta e risponde: «Da questo pezzo di mer**, questo “parrucchino”, che vado a dargli la parte ai Piscopisani». In questa occasione Antonio Guastalegname apprende tutta la storia che stava dietro al bar. E aggiunge, per spigare le frizioni tra i due gruppi: «… sapete la storia dei Piscopisani, no, che hanno ammazzato Michele Palumbo, hanno fatto la faida, e Nazzareno era dietro la faida pure…». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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