REGGIO CALABRIA Non è soltanto una nuova geografia del potere mafioso a Reggio Calabria, è una nuova era nei rapporti tra le cosche quella che i magistrati della Dda descrivono nella memoria depositata nel processo Epicentro, terminato con una stangata per i clan della città.
Gli approfondimenti investigativi che hanno portato alla riunione delle tre indagini “Malefix”, “Metameria” e “Nuovo Corso” confermano, per la Procura antimafia, «l’esistenza di una federazione tra le storiche famiglie mafiose reggine, operanti in stringente connessione operativa tra loro e, comunque, tutte subordinate al predominio catalizzante del gruppo di Archi, facente capo da ultimo al boss Carmine De Stefano».
È il gip distrettuale, nel firmare l’ordinanza dell’8 febbraio 2021 (“Metameria”), a segnalare che «è emerso un progressivo appianamento dei contrasti e delle rivendicazioni spesso confliggenti delle cosche storicamente dominanti sul quartiere di Archi (le principali De Stefano, Tegano e Condello, ma anche le minori, quali Fontana Saraceno), verso una sorta di reductio ad unum, finalizzata ad una gestione comunitaria e profittevole delle varie pretese, facente capo alla famiglia De Stefano, di riconosciuta superiorità per autorevolezza criminale, prestigio e capacità di dialogo ed infiltrazione di ampi settori della società, nella persona di Carmine De Stefano».
Una «gestione comunitaria degli affari criminali» messa in campo «attraverso un costante dialogo solidaristico e una pianificata condivisione del progetto ‘ndranghetistico da parte delle diverse articolazioni reggine». I pm antimafia – la memoria è firmata dal procuratore capo Giovanni Bombardieri e dai magistrati Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Nicola De Caria e Giovanni Calamita – ridisegnano gli assetti in riva allo Stretto. Le indagini, avrebbero permesso di chiarire, innanzitutto, «la suddivisione tra le “quattro famiglie”, De Stefano, Tegano, Condello e Libri, dei proventi delle estorsioni imposte a commercianti e imprenditori del centro storico di Reggio Calabria». Una delle conversazioni contenute nella maxi inchiesta è presa a modello. «È venuto Peppe Molinetti per il fatto… (inc.)… gli ho detto il fatto del Bar’t, no dice che quella è una cosa che Carmelo … (inc.)… è una cosa personale sua. Ah! Abbiamo capito come a tutto, abbiamo cominciato un’altra volta con le stesse cose gli ho detto. Carmelo gli ho detto che gli mandi i pensieri per quattro famiglie gli ho detto io, non solo per i De Stefano».
Il nuovo accordo presuppone camere di compensazione e «confronti riservati». Questi summit sarebbero serviti «ad appianare i dissapori con i Libri in merito alla ripartizione dei proventi estorsivi, nel corso dei quali le ragioni di Carmine De Stefano erano state apertamente sostenute da Domenico Tegano, figlio di Pasquale Tegano, in forte ascesa criminale, nonché da Demetrio e Giandomenico Condello, esponenti apicali dell’omonima ‘ndrina». C’è il gotha della ‘ndrangheta in queste riunioni. Il collaboratore di giustizia Maurizio Carlo precisa «che, all’incontro per risolvere le problematiche successive all’aggressione ai danni del titolare del Bart, c’erano Mariano Tegano, Carmine Polimeni, Orazio De Stefano, Carmine De Stefano, Giandomenico Condello e Mitri Condello. C’erano in sostanza due esponenti per ciascuna delle famiglie di Archi».
Il baricentro di questa struttura criminale è Carmine De Stefano, capace «di aggregare intorno a sé le nuove leve provenienti anche da altre famiglie, comprese quelle un tempo contrapposte nella sanguinosa guerra di ‘ndrangheta». È Giorgio De Stefano, fratello di Carmine a raccontare in un’altra conversazione captata dagli inquirenti «come il fratello fosse diventato un «punto di riferimento» per i «ragazzi» dei Condello, in maniera da assicurare che «tutto funzioni bene». «Ieri – dice ad Alfonso Molinetti – ragionavamo con Carmine… (…) Carmine quando è uscito… c’era parecchia confusione in giro… no?… questi dei Condello… dei ragazzi che sono… hanno trovato in lui un punto di riferimento… ma sempre nella cosa di… di vedere… di fare le cose in maniera che tutto funzioni per bene… che vada per bene… no?».
A nuovi assetti corrispondono nuovi appetiti. Vi sarebbe, infatti, una «palese dilatazione dei confini territoriali, un tempo assai meno fluidi, nella geografia criminale reggina, tanto che esponenti della mafia di Archi (in particolare i membri della famiglia Molinetti) aspiravano ad assumere il controllo del quartiere di Gallico».
Il ruolo di guida per la famiglia De Stefano sarebbe stato riconosciuto anche dal capo del “locale” di Pellaro, Filippo Barreca. Un «deferente ossequio verso Carmine De Stefano» accompagnato dall’«attribuzione della potestà decisionale anche in merito all’estorsione ai danni di un imprenditore operante nel territorio pellarese». «Nooo a me me lo deve dire – sottolinea Barreca in un’intercettazione –, no… è lui! Decide lui! (…) decide Carmine ora questo qua eravamo rimasti noi … (…) Gli devi dire che per il fatto di Canale di fare lui, lui l’ha aggiustata voglio dire, non è che l’ho aggiustata io… (…) No, no, no gli devi dire, me lo dice Carmine e che gli dici, e mi metto a fare discussioni io, oppure digli no, sai, questo quell’altro».
Incontri per «attuare scambi informativi per la pianificazione corale delle estorsioni» e «reciproca assistenza tra le varie ‘ndrine». Tra i princìpi del governo mafioso del territorio c’è anche lo sforzo fatto «affinché gli imprenditori provenienti dai rispettivi territori versassero il necessario obolo di ‘ndrangheta ai referenti dei quartieri in cui, di volta in volta, andavano ad operare». Filippo Chirico e Antonio Libri (della cosca di Cannavò), secondo la Dda avrebbero «garantito la riscossione delle tangenti, versate dagli imprenditori Berna, in favore della cosca Ficara-Latella». E così Carmine De Stefano e Donatello Canzonieri (vertici, rispettivamente, della mafia di Archi e di Santa Caterina) sarebbero «intervenuti per “sistemare” l’estorsione degli imprenditori Canale a beneficio della cosca Barreca» e Filippo Barreca, leader del gruppo di Pellaro, avrebbe «intimato all’imprenditore Ambrogio di presentarsi al cospetto di Donatello Canzonieri, capo locale di Santa Caterina».
La nuova geografia dei clan è “liquida” e flessibile. Le ‘ndrine «operanti nei quartieri limitrofi» avrebbero avuto la possibilità di «estendere il proprio controllo territoriale nelle aree vicine quando, per situazioni contingenti, le stesse rimanevano sfornite dei loro referenti mafiosi, così da determinare una fungibilità operativa e una interscambiabilità di ruoli attuate nell’ottica dell’unitaria gestione del crimine locale». Sarebbe successo anche a Pellaro «durante l’assenza dei fratelli Barreca», quando «gli esponenti della cosca Ficara-Latella» li avevano sostituiti «nella raccolta delle estorsioni, a seguito di una decisione assunta dai vertici della cosca De Stefano». In questo contesto si inserisce il dato, ricavato nell’inchiesta Sansone, dell’«estensione dell’influenza ‘ndranghetistica delle cosche di Archi sino al territorio di Villa San Giovanni, in accordo con le storiche ‘ndrine del luogo». (p.petrasso@corrierecal.it)
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