“Dobbiamo difendere la razza ariana e la sua superiorità e con essa la salda alleanza fra la nostra nazione, la Germania e il Giappone”. A scrivere queste cose, con una prosa già forbita, a 19 anni, era Eugenio Scalfari, che poi sarebbe divenuto musa della sinistra antifascista nel dopoguerra, nonché splendido giornalista. In questi tribolati giorni la stampa ha ricercato dichiarazioni giovanili della probabile futura premier, Giorgia Meloni, che alla stessa età di Scalfari avrebbe elogiato il Duce, e del giovane segretario regionale del Pd lucano, La Regina, prossimo parlamentare, che nella tarda adolescenza dichiarò Israele Stato abusivo. Ci sono due aspetti essenziali che vanno ricercati nell’analisi di questi comportamenti. Il primo riguarda la connotazione italiana di cambiare idea a seconda dei vantaggi personali. La pubblicistica fascista, guidata da Bottai, annoverava tra i suoi entusiasti relatori gente del calibro di Aldo Moro o Amintore Fanfani, solo per citare alcuni esempi. È che dire del premio nobel per la letteratura, Dario Fo, repubblichino convinto e poi assertore dell’antifascismo militante? La seconda considerazione è forse più interessante della prima e assolve Scalfari o La Regina senza alcun dubbio. Davvero si può pensare che una persona non possa sbagliare a 18 anni o a vebgi6, età della confusione e della potatura cerebrale, ma essere già in grado di scegliere con obiettività e rigore? Questa anamnesi storiografica che cerca errori o incompiutezze dimentica che la classe intellettuale di elite del secolo trascorso è nata, ad esempio, dal movimenti extraparlamentari. Dagli scontri di D’Alema con la polizia, ai giornalisti Mediaset reduci da Lotta Continua. Il vulnus di un Paese in cui difetta la memoria è proprio quello di pensare che un uomo sia identico a 20 anni e a cinquanta. Deleuze ci scrisse tomi sulla diversità dello stato di essere. E sarebbe persino strano immaginare un ventenne moderato, imbolsito da una condizione mentale già strutturata. C’è una dominanza di pensiero unico disposta a perdonare passati più o meno ombrosi in nome del realismo. Così, Gianfranco Fini che a 40 anni definì Mussolini il più grande statista del novecento, riuscì a ritrovare credibilità presso la sinistra quando si pose contro il suo schieramento. San Paolo ci ricorda che il motivo principale dell’esistenza è il dove vai e non il dove vieni. La vita adolescenziale di ognuno è un carico di scheletri naturali. Pensare che un esponente politico abbia attraversato l’età di mezzo come un cantiere già formato è un’illusione. L’attualità elettorale non perdona nemmeno una canna fumata a 18 anni ma sa condonare peccati ben più gravi a politici corrotti. In fondo, citando Freud, la gioventù di ognuno è un terremoto che lascia tante macerie. Lasciamole morire in pace.
* Giornalista
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