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La riflessione

«Battaglia sul debito a rischio con un Parlamento di “nominati”»

In questo finale d’estate dal clima un po’ umorale, così come lo è la campagna elettorale iniziata, mi sovvengono le riflessioni di un grande costituzionalista, Gustavo Zagrebelsky, in un suo test…

Pubblicato il: 28/08/2022 – 10:00
di Orlandino Greco*
«Battaglia sul debito a rischio con un Parlamento di “nominati”»

In questo finale d’estate dal clima un po’ umorale, così come lo è la campagna elettorale iniziata, mi sovvengono le riflessioni di un grande costituzionalista, Gustavo Zagrebelsky, in un suo testo che lessi qualche anno addietro, dal titolo “Contro la dittatura del presente, perché è necessario un discorso sui fini”. Un libro oggi più che mai attuale perché fotografa la spregiudicatezza dell’uomo nell’utilizzazione dei mezzi per raggiungere i fini personali.
Una distinzione, quella tra mezzi e fini, sempre stata definita ma che oggi viene capovolta nel rapporto: i mezzi diventano essi stessi fini, e i fini, a loro volta, sono mezzi. Un cambiamento di rapporto che riguarda anche il denaro e la politica, non solo in relazione al raggiungimento della ricchezza materiale ma soprattutto nella gestione della cosa pubblica ed in modo particolare del debito pubblico.
Dalla seconda metà del 900, infatti è cambiata la natura dello Stato, prima definito come ente necessario e non esposto al default e al fallimento, e la natura delle entrate necessarie al funzionamento dello stesso, un tempo derivanti solo dal prelievo fiscale, ora alimentate anche dal mondo finanziario mediante l’acquisizione dei titoli di Stato o titoli di debito, emessi per colmare la differenza tra quanto entra e quanto si spende per i pubblici servizi o investimenti pubblici.
Da ciò, unitamente alle politiche austere dell’UE, è iniziato un processo di alterazione dei paradigmi politici attraverso una concezione aziendalista dello Stato e corrodendone sempre più la sovranità. La verità è che oggi ha ceduto il passo alla finanza, i parlamenti sono sempre meno influenti rispetto agli esecutivi ed espressioni come “la reazione dei mercati” hanno sostituito la dialettica politica, sempre più concentrata alle promesse elettorali fondate sulle mance e sull’assistenza e sempre meno su riforme di sistema che possano garantire politiche espansive e di crescita. Tanto più lo Stato è preda del debito pubblico, (quello italiano tra i più elevati in assoluto, 2756 miliardi di euro che lo stato deve ai suoi creditor), tanto più è esposto al potere della finanza, al punto che quest’ultima decide addirittura chi deve governare il Paese, essendo i mercati stessi i proprietari di fatto del debito.
Difficilmente un parlamento, già di per se composto da nominati, svuotato dalla sua funzione di controllo sull’esecutivo e privato della necessaria autonomia sarà in grado di contrastare le scelte che altri (i detentori del debito) imporranno.
Occorre alzare l’asticella della rappresentanza perché le sfide sono alte. Occorre da un lato mettere in discussione i parametri deficit/PIL, stornando dal computo del debito pubblico la spesa per investimenti in quanto crea ricchezza, dall’altro rifondare la politica selezionando classe politica autorevole competente e libera tale da porre sotto il controllo democratico del Parlamento Europeo, composto anche dalla nostra deputazione, la BCE, la Commissione ed il Consiglio.
Il problema è che, purtroppo, abbiamo leader e partiti intenti ad individuare colpevoli e a propinare soluzioni tampone che nella migliore ipotesi non producono sviluppo e crescita ma parassitismo e stagnazione. È per questo che esplode il populismo e l’astensionismo, in quanto rappresentano le uniche voci critiche che si levano in un Paese che riflette poco e urla tanto. Ecco allora che recuperare la giusta visione dei mezzi, significa garantire il ritorno a quel fine chiamato politica. L’unico strumento a nostra disposizione per garantire un futuro migliore alle nuove generazioni.

*Italia del Meridione

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