COSENZA «Al contrario di quanto il centrodestra sostiene, in Italia abbiamo pochissimi laureati. Secondo l’Eurostat, l’Italia è al penultimo posto in Europa, superata solo dalla Romania, per numero di laureati fra i 25 e 34 anni. Viaggiamo su una media del 28%, quando più della metà dei paesi dell’Unione Europea ha superato il 45%. L’Istat fotografa poi globalmente uno scenario in cui solo il 20% della popolazione in età lavorativa italiana è laureato, meno del 12% rispetto alla media Ue. Con un enorme divario nella stessa penisola, dove al centro la percentuale è di 24,2% di laureati, al nord di 21,3% e al Sud al 16%, con la Calabria al 14%. Lo sappiamo, la laurea non è in nessun modo un indicatore del valore di una persona, bisogna però riconoscere che una società con una media di laureati più alti è una società più giusta. Lo studio rimane uno strumento fondamentale di mobilità sociale e consente anche a chi proviene dalla più estrema situazione di disagio economico e sociale di accedere ai più alti livelli delle professioni, sia nella pubblica amministrazione che nel privato». A dirlo, Vittorio Pecoraro candidato alla Camera nel collegio uninominale Cosenza-Tirreno per il Pd. «Una società con pochi laureati è una società dove prevalgono le disuguaglianze sociali. In secundis, un Paese con alti tassi di laureati è paese che possiede un vantaggio competitivo nell’affrontare le sfide del futuro, basti pensare alla necessità scientifica e tecnologica a cui la pandemia ci ha messo di fronte in questi anni, per non parlare delle urgenze di carattere ambientale, che richiedono professionisti sempre più qualificati. Appare dunque fondamentale incentivare, con ogni forma e modalità, l’accesso all’istruzione universitaria sia per le nuove generazione sia per coloro che sono già impegnati in un’attività lavorativa. La modalità più forte ed efficace per farlo è abolire tutte le tasse universitarie. La finta progressività da cui esse sono giustificate si rifà a indici parziali che non tengono conto di diversi elementi, fra cui gli enormi costi che comporta per le famiglie mantenere i giovani durante gli studi, specialmente se fuorisede o distanti da casa. Occorre un messaggio molto chiaro: lo studio per lo Stato non è un mero onore da condividere fra fiscalità generale e tasse per coloro che usufruiscono dei servizi, ma un investimento per il futuro. Un giovane che studia produce benefici non solo per sé ma anche per la collettiva e per il Paese, e non può essere tassato, anzi va incentivato. Ecco perché in Germania, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia lo studio è praticamente gratuito per tutti gli studenti, indipendentemente da ogni fattore. Dobbiamo seguire la stessa strada. Soprattutto negli atenei meridionali per i prossimi anni sarà fondamentale accrescere la capacità di attrarre studenti, dato che uno studente del Mezzogiorno su cinque si iscrive al Centro Nord, mentre i flussi nella direzione contraria sono praticamente nulli. Ecco perché l’abolizione delle tasse universitarie specialmente per le regioni meridionali potrebbe rappresentare uno strumento fondamentale di politica di coesione territoriale», conclude Pecoraro.
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