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«Nelle stanze dei bottoni ridevano di noi. Ma possiamo vincere la battaglia per l’ospedale di Cariati»

Parla Mimmo Formaro, de “Le Lampare”: «Accordo con Cuba positivo. Se non cambia il sistema cercheremo medici su Marte»

Pubblicato il: 31/08/2022 – 7:28
«Nelle stanze dei bottoni ridevano di noi. Ma possiamo vincere la battaglia per l’ospedale di Cariati»

CARIATI «Riaprite l’ospedale di Cariati, subito!», disse nel dicembre scorso Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd. Nel 2010 Giuseppe Scopelliti, all’epoca presidente della Regione Calabria e commissario per l’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, chiuse 18 dei 73 ospedali calabresi, tra cui quello di Cariati, piccolo Comune della costa ionica in provincia di Cosenza. Allora la Calabria era peraltro in emergenza sanitaria, decretata dal presidente del Consiglio dei ministri dopo la morte, nel 2007, di tre minori per gravi colpe mediche: Federica Monteleone, Flavio Scutellà ed Eva Ruscio. La sanità calabrese era in un abisso. Nel contesto, la comunità di Cariati subì la riconversione del proprio ospedale in Punto di primo intervento, nonostante la lentezza dei collegamenti del territorio: la Statale 106 a velocità limitata e una linea ferroviaria per soli treni diesel. La riorganizzazione sanitaria avvenne alla svelta, a discapito di territori disagiati per condizioni climatiche, orografiche e viarie. Lo ribadì il Consiglio di Stato, che poi annullò la chiusura dei due ospedali periferici di Praia a Mare e Trebisacce. L’associazione locale Le Lampare protesta da anni per ottenere la riapertura dell’ospedale di Cariati. Abbiamo intervistato Mimmo Formaro (foto sotto, sulla destra), che ci ha aggiornato sugli sviluppi della battaglia di questo gruppo della società civile, di cui è portavoce.

Che cosa è cambiato, per l’ex ospedale di Cariati, dall’appello di Waters?
«Il presidio è oggetto di attenzione nazionale dal novembre 2020. Allora, in un periodo critico della pandemia, occupammo la struttura. Da quel momento si sono accesi i riflettori a livello internazionale. Ci sono stati tv e giornalisti tedeschi, olandesi, inglesi e finlandesi. Inoltre, del caso si sono occupate le principali televisioni italiane, pubbliche e private. La questione è finita perfino in Parlamento, anche grazie al deputato Francesco Sapia, della commissione Sanità. Nonostante il nuovo governo nazionale e la sostituzione dei commissari al Piano di rientro, mantenemmo l’occupazione fino a luglio del 2021. Anche il compianto Gino Strada prese a cuore la nostra battaglia, tanto da volerla raccontare nel libro “Una persona alla volta”, che contiene un intero capitolo dedicato alla vicenda di Cariati. Per inciso, la sua morte è stato il momento peggiore. Abbiamo quindi ottenuto i primi risultati importanti in termini di servizi. L’appello di Roger Waters nacque, invece, in occasione delle registrazioni di un docufilm dei registi Federico Greco e Mirko Melchiorre, incentrato sulla nostra lotta e di prossima uscita, tra l’altro con interventi di figure note a livello internazionale. Rendere pubblico l’appello di Waters fu una scelta strategica e politica, condivisa con i due registi. Occhiuto si era appena insediato quale presidente e commissario alla Sanità regionale, sicché avevamo l’esigenza che il problema di Cariati fosse inserito tra quelli da risolvere in via prioritaria. L’effetto fu immediato: a distanza di poche ore, Occhiuto prese impegni precisi, anche in diretta su Rai 1. Dopo qualche settimana, ci ricevette alla Cittadella regionale, meravigliandosi di come avessimo fatto a dare tanto risalto alla vicenda.  Sul resto aveva idee chiare, specie con riferimento all’emergenza/urgenza, alla dotazione in termini di posti letto, ai tempi di percorrenza per i soccorsi e all’eccessivo carico dell’ospedale di Rossano, cioè quello di riferimento per il nostro territorio. Ovviamente l’appello di Waters ha fatto il giro del mondo. Bisogna ringraziare Ken Loach, anche lui nel film. È stato lui, tramite i due registi, a metterci in contatto con Waters».

Oggi si parla molto di riforma dell’assistenza territoriale e delle nuove strutture che dovranno essere realizzate con i fondi del Pnrr dedicati alla tutela della salute. Voi, però, insistete per la riapertura dell’ospedale di Cariati. Perché?
«In realtà, per il presidio di Cariati sono previsti anche quei fondi. La questione è questa: nel territorio siamo in grave deficit, sia per quanto riguarda la medicina ospedaliera, sia per la medicina territoriale, sia nell’ambito della prevenzione. L’ospedale di Cariati, il Vittorio Cosentino, è tanto grande che potrebbe fare tutto. Ma la prima necessità è riparare alla inesistente rete dell’emergenza/urgenza e all’indisponibilità di posti letto. Ciò si lega a tutta una serie di servizi ospedalieri che mancano».

Che cosa significa, per Cariati e il suo territorio, la riapertura dell’ospedale?
«”Se l’ospedale chiuderà, Cariati morirà”. Così c’era scritto su uno striscione steso dodici anni fa davanti alla struttura di Cariati, estromessa dalla rete per acuti. Oggi, invece, noi diciamo che il territorio potrebbe rinascere se avesse una forma degna di assistenza sanitaria pubblica. Stiamo parlando di una lotta che ha come obiettivo l’apertura di un Pronto soccorso, mentre in tutta Italia c’è la fuga dal pubblico e dai presìdi di emergenza/urgenza. In una Calabria in cui i privati, come indicano anche le carte giudiziarie, avrebbero agganci nelle aziende sanitarie. È un andazzo terrificante che coinvolge tutto il Paese. In Europa mancano i medici. Anche la Germania ha seri problemi, come l’Inghilterra e la Spagna. In questo quadro, vincere farebbe ancora più impressione. Ci sono gli occhi dei privati anche sulla nostra struttura, ci sono sempre stati. In generale, è scattata l’ora X per ciò che resta del Servizio sanitario nazionale, dal lato pubblico».

Come e quando nasce l’associazione Le Lampare?
«Nasce nel 2009, davanti all’ospedale di Cariati, il Vittorio Cosentino. Nel tempo ci siamo occupati di ambiente, mobilità, territorio. Il Cosentino è una questione di vita o di morte per tutto il territorio. Anche a livello personale, per noi questo impegno è diventato totalizzante. Ma, come diceva la canzone di Carlo Rustichelli, nel film di Monicelli “Brancaleone alle Crociate”: “Longo è lo cammino, ma grande è la meta”».

La battaglia continua, insomma.
«Sì. Peraltro, sono stati scritti diversi libri e girati più documentari. Ci hanno contattato ricercatori britannici e studenti, di Bologna, Roma e Perugia, che hanno trattato la questione nelle loro tesi. Giuseppe Smorto ha vinto il Premio Oxfam con un suo libro e lo ha dedicato a noi. Anche Horacio Durán Vidal, tra i fondatori degli Inti-Illimani, lanciò un appello per la causa, direttamente dal Cile. Da quella stanza di ospedale occupata, abbiamo raccontato al mondo la condizione del presidio di Cariati. La storia in argomento è, in generale, oggetto di studio. Anche Waters ha detto che vorrebbe venire a Cariati, per brindare con noi. Se il Vittorio Cosentino diventerà ciò che merita e il territorio avrà ciò che gli spetta, sarebbe un gran risultato per l’intera Calabria».

Il Punto di primo intervento dell’ospedale di Cariati intasato nei giorni scorsi

Nel senso di un esempio per il resto dell’Italia, in un momento di grave crisi, anche sanitaria, del sistema pubblico?
«Più che esempio mi risulta, nel quadro generale, anche un ennesimo allarme. Quando parliamo della chiusura dell’ospedale di Cariati, parliamo di logiche che hanno distrutto l’intero sistema sanitario nazionale. Quando noi raccontiamo il nostro punto di vista, diciamo che l’errore è inquadrare la sanità nelle logiche aziendali; sosteniamo che bisogna chiudere ai privati accreditati e che bisogna invece riparlare di spesa pubblica, di Stato sociale e di chi lo sta distruggendo. In questo senso, l’accordo con Cuba è un fatto positivo. Sempre da Cuba, lo proposero anche al presidente Nino Spirlì, ma non ebbero risposte. Lo sappiamo perché in qualche modo ci pensammo pure noi e contattammo l’associazione nazionale di amicizia Italia-Cuba, in particolare il presidente Papacci. La polemica sui medici cubani mi sembra più dovuta a interessi di bottega o all’aria della campagna elettorale in corso. Se non si mette mano al sistema, tra poco cercheremo i medici anche su Marte. Altro aspetto è che a raccontarci il disastro oggi ci pensa chi l’ha creato; il che resta una verità tenuta volutamente ai margini del dibattito “mainstream”. Bisogna poi discutere di formazione dei sanitari fino al reclutamento, ma anche nella fattispecie la spugna è il sistema privatistico, che assorbe le risorse. Ci sono interessi fortissimi che si muovono tra la grande richiesta di figure mediche e il loro numero insufficiente. Non è un caso, tutto ritorna se riduci il pubblico ad azienda e regali quasi tutto il tuo budget al privato, che è il tuo unico concorrente. La vera distorsione è che abbiamo distrutto un sistema sanitario tra i migliori al mondo e ora abbiamo bisogno di medici provenienti da uno dei sistemi sanitari nazionali migliori al mondo. Dovremmo imparare a “produrre” medici, proprio come fanno a Cuba».

A livello locale c’è scetticismo sull’esito della vostra battaglia?
«Prima della nostra occupazione, nelle stanze dei bottoni ridevano. Dopo hanno dovuto tenere conto per forza delle esigenze della nostra comunità. Aprire gli ospedali e renderli funzionanti non è compito nostro. I soldi ci sono, sia per la medicina territoriale che per quella ospedaliera. Nel Programma operativo sarà sancito l’inserimento del presidio di Cariati nella rete ospedaliera. Poi forse i tempi di apertura saranno in concomitanza con quello della Sibaritide; non lo so. Ma dal nuovo Programma operativo al taglio eventuale del nastro ci sarà, almeno in teoria, un iniziale incremento di servizi. Proprio oggi, dopo un nostro comunicato, abbiamo avuto dall’Asp di Cosenza una tempistica precisa circa strumenti come Tac ed ecografi, cioè il settembre dell’anno corrente. Nelle scorse settimane avevamo denunciato il rischio di chiusura del Punto di primo intervento di Cariati, per mancanza di personale medico. Di seguito la situazione è migliorata. Lottiamo sempre: sia per la sostituzione di una finestra che per vedere il presidio di Cariati all’interno del nuovo Programma operativo».

Se l’ospedale riapre, poi che cosa succede?
«Può cambiare molto, se capiamo, come comunità, che ci si può rialzare solo con l’impegno collettivo, che comporta tanto sacrificio e, anche davanti alle scottature, non fa perdere l’ottimismo della volontà».

Che messaggio volete dare agli altri cittadini calabresi, a proposito di lotta civile per il diritto alla salute?
«Se capiamo il quadro generale, cioè come va il mondo, e se realizziamo che la vicenda di Cariati ha suscitato così tanto interesse, allora ci rendiamo conto, tutti noi calabresi, di avere la responsabilità di risollevare insieme le nostre sorti». (redazione@corrierecal.it)

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