COSENZA Un patto siglato tra clan confederati per gestire i business illeciti nell’area del territorio cosentino. E’ questa la più importante scoperta fatta dalla Dda di Catanzaro che ha concluso, questa mattina, una imponente operazione antindrangheta. Che ha portato all’arresto di 202 persone. I sodalizi criminali, dunque, hanno deciso di riporre armi e munizioni in cantina e scendere a patti per spartirsi tutte le attività più redditizie: traffico di droga, usura e anche il fruttuoso canale delle scommesse e del gaming.
L’attività economica relativa alle sale giochi ed alle scommesse – secondo gli investigatori – è in mano alla criminalità cosentina. «Inizialmente era Emiddio Lanzino, figlio del boss Ettore Lanzino, a godere di un sostanziale monopolio di tali attività nel territorio cosentino». Oggi, il gaming è affare condiviso da sei gruppi attivi, sovrapponibili o collegati alla confederazione. Si tratta dei gruppi: Chiaradia-Orlando; Manna-Gaudio; Drago; Reda; Carelli e altri. Sono state le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia a garantire alle forze dell’ordine gli elementi necessari a ricostruire la presunta rete tessuta da alcuni degli indagati. E’ il collaboratore di giustizia Silvio Gioia a cristallizzare nomi e legami nell’affare del gaming. «Daniele Chiaradia e Mario Piromallo avevano un rapporto diretto», «Chiaradia e Mario Gervasi gestivano una società di Gaming (Gechi Games) anche a Malta, e l’avvio era stato possibile grazie ai finanziamenti elargiti proprio da Piromallo». Quest’ultimo, sempre secondo il racconto del pentito, «li affiancava nella gestione servendosi dello schermo societario per riciclare il denaro di provenienza illecita». Nella lunga, corposa e dettagliata narrazione fornita da Gioia compare Francesco De Cicco (finito ai domiciliari), attuale assessore del Comune di Cosenza ed ex consigliere comunale. Secondo il pentito era legato sia a Chiaradia e Gervasi, «i quali gli riconoscevano il 45% degli utili». A questa informazione, aggiunge: «aveva contratto debiti pari a euro 200 mila euro con entrambi e indirettamente con Piromallo». De Cicco, per ridare le somme dovute, avrebbe «venduto un’auto e trasferito la proprietà di un immobile». Anche un altro collaboratore di giustizia, Roberto Violetta Calabrese, tira in ballo l’assessore cosentino. Dal suo racconto, «De Cicco faceva capo ad una società gestita da Chiaradia e da tale “Silvio”, un poliziotto, specificando che quest’ultimo non figurava formalmente come socio in ragione della professione che svolgeva».
Nell’affaire legato al gioco, gli elementi indiziari raccolti avrebbero permesso a chi indaga di ricostruire anche la gerarchia della presunta associazione per delinquere «capeggiata dal duo Chiaradia-Orlando e costituita al fine di gestire in modo illecito l’attività di gaming». Del gruppo farebbe parte, tra gli altri proprio Francesco De Cicco, in qualità di collaboratore. Nel corso delle indagini, gli investigatori captano i continui rapporti telefonici e monitorano le frequentazioni degli indagati, che spesso si traducevano in vere e proprie riunioni. Tutti elementi che ipotizzano l’esistenza di «una struttura organizzativa ben precisa in termini di ruoli da ciascuno ricoperti, di programma da realizzare, nonché dotata di una struttura logistica raffinata (società ad hoc costituite, dettagliato modus operandi».
A Francesco De Cicco viene contestato, in concorso con Mario Piromallo, il reato di intestazione fittizia riferita al “Circolo ricreativo Popily Street” a lui formalmente intestato, ma di fatto gestito anche dallo stesso Piromallo. Ancora una volta, sono i collaboratori di giustizia a riferire circa i rapporti tra De Cicco e Piromallo. Secondo il pentito Roberto Violetta Calabrese: «De Cicco è solo un anello del sistema, tanto che lo stesso fa capo ad una società gestita da tale Silvio, il cui figlio gestisce un analogo centro scommesse ad Andreotta di Castrolibero». Dell’assessore parla anche Franco Bruzzese: «non l’ho mai conosciuto personalmente, ma so che gestisce una sala scommessa ubicata in Via Popilia. Rappresento che, nell’anno 2013, allorché ero detenuto presso il carcere di Cosenza, fui chiamato da Umberto Di Puppo, Roberto Porcaro e Salvatore Ariello e mi chiesero di intervenire su Maurizio Rango, il quale era andato a richiedere somme di denaro a titolo di estorsione proprio al predetto esercizio commerciale in quanto avevano delle quote nelle proprietà nella predetta sala scommesse». «Per quello che ho capito – aggiunge – sulla scorta di quanto mi hanno riferito loro, ho capito che erano in società con De Cicco». Insomma, chi indaga è convinto che l’ex consigliere comunale cosentino, «sostanzialmente incensurato», abbia dimostrato una significativa «proclività a delinquere, nonché collegamenti con la criminalità organizzata, mettendosi a disposizione anche di membri apicali». (f.b.)
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