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la (ri)organizzazione criminale

Il “Sistema” raccontato dai pentiti cosentini. La pax e la nascita della “Confederazione”

Sette gruppi si spartiscono i proventi delle attività illecite. Che confluiscono nella “bacinella” comune. La «guerra» e poi la firma di un «armistizio»

Pubblicato il: 01/09/2022 – 16:07
di Fabio Benincasa
Il “Sistema” raccontato dai pentiti cosentini. La pax e la nascita della “Confederazione”

COSENZA “Uniti si vince”. Avranno pensato questo i boss della mala cosentina, vertici di diversi sodalizi criminali attivi nel territorio bruzio. Alle sanguinose faide della fine degli anni 90′, sono susseguite pax che hanno sigillato l’alleanza tra mondi grigi. Oggi, con l’operazione della Dda di Catanzaro si ha la conferma della ritrovata e salda stabilità nei rapporti tra i clan che addirittura avrebbero dato vita ad una “Confederazione”. Le articolazioni ‘ndranghetiste, seppur agli antipodi, mantengono un carattere unitario, si evolvono e mettono le mani su nuovi business.

I gruppi criminali della Confederazione

La Dda di Catanzaro ha ridisegnato la geografia criminale del territorio cosentino, individuando sette gruppi facenti capo alla “Confederazione”, al cui vertice troviamo Francesco Patitucci (già reggente per conto di Ettore Lanzino). Accanto troviamo il gruppo Porcaro: anch’esso operante nel territorio del Comune di Cosenza, con ruolo apicale rivestito da Roberto Porcaro; e ancora il gruppo degli Abbruzzese, la famiglia “Banana” e degli «altri Zingari». Nel territorio del Comune di Roggiano Gravina è egemone la famiglia Presta, di cui fanno parte gli eredi di Franco Presta. Al tribunale di Cosenza è attualmente in corso il processo scaturito dall’inchiesta “Valle dell’Esaro”, che vede coinvolti alcuni degli uomini considerati vicini al sodalizio. Infine, troviamo i gruppi Di Puppo e quello capeggiato dai D’Ambrosio, con vocazione prettamente “estorsiva”.

Il “Sistema” raccontato dai pentiti

Celestino Abbruzzese detto “Micetto” definisce il “Sistema Cosenza”, «un accordo tra organizzazioni, un’unica associazione dedita al narcotraffico». Dove confluivano i fiumi di danaro proventi di attività illecite? A rispondere è sempre “Micetto”. «Confluivano nella bacinella comune e venivano suddivisi tra i gruppi degli “Zingari” e quelli degli “Italiani”. «Ogni spacciatore che “lavora” a Cosenza è vincolato con uno dei gruppi che fa parte del “Sistema”».
Franco Bruzzese, oggi collaboratore di giustizia, aggiunge importanti dettagli. «L’accordo fu suggellato nel novembre del 2011 allorché mi recai a trovare Ettore Lanzino, all’epoca latitante, a Rende nel sottoscala di un palazzo, dove erano presenti per gli italiani Umberto Di Puppo, Francesco Patitutcci e altri due di cui non ricordo il nome ma che sarei in grado di riconoscere. Come facenti parte degli zingari c’eravamo io e Maurizio Rango». In quella sede, si parlò della federazione con il clan degli italiani, un patto che «ebbe il suggello definitivo con la presente del latitante Lanzino. «Ci si accordò per creare una bacinella in comune nella quale sarebbero dovuti confluire tutti i proventi delle attività illecite dell’ormai gruppo confederato». Secondo Bruzzese tuttavia «ancor prima dell’incontro del novembre 2011, il gruppo unitario e federato era già attivo. Patitucci mi diede un elenco di soggetti che erano sottoposti ad estorsione da parte degli italiani, in modo tale che anche il nostro gruppo fosse informato di questo tipo di affari e, comunque, le estorsioni dell’uno e dell’altro gruppo, diventò una vicenda unitaria e andavamo insieme, i rappresentanti di entrambi i gruppi, a chiedere le estorsioni, a tutti gli imprenditori nel loro complesso». A gestire la “bacinella” era Renato Piromallo. A confessarlo il pentito Silvio Gioia. «Piromallo provvedeva al pagamento degli stipendi, avvocati, carcerati e le dazioni invece delle percentuali delle rapine oltre che nelle mani di Rango avviene anche in quelle di Porcaro e di Tonino il figlio di “Banana”». Alla “bacinella unica” acconsentirono anche i “Bella Bella”, per conto di Daniele Lamanna. Il garante, ex latitante e oggi pentito parla di una ripartizione di ruoli. «In particolare venne stabilito che Patitucci fosse il rappresentante dei latitanti Presta e Lanzino e che avesse la gestione delle estorsioni unitamente a Michele Bruni. La gestione della vendita dello stupefacente era affidata a Umberto Di Puppo su Rende; mentre io e Piromallo prevalentemente su Cosenza e provincia».
Quella nei confronti degli “Zingari” e degli “Italiani” è una vera e propria «dipendenza», sostiene Giuseppe Montemurro mentre «sulla costa tirrenica dipendiamo dai Muto e quindi da Luigi Muto, da Tonino Mandatiti e dal nipote di quest’ultimo Alfredo Palermo».

Il traffico di droga

E’ la droga il business più importante e più remunerativo per i clan del “Sistema”. A confermarlo è Alberto Novello, collaboratore di giustizia. «La sostanza stupefacente bisogna comprarla nel territorio da persone “grandi”, in senso criminale, di Cosenza; se invece si compra fuori dal circuito, ovvero “sottobanco”, bisogna versare una quota alla bacinella; questa cosa l’ho saputa da Sergio Raimondi, al quale con Riccardo Gaglianese abbiamo dovuto versare, per farla confluire nella bacinella, 1.000 euro per ogni acquisto di sostanza fuori». Anche il pentito Giuseppe Zaffonte rende dichiarazioni in merito alla cessione di stupefacenti. «Il Sistema per noi sono tutti i clan di Cosenza autorizzati a spacciare».

Unitarietà e «matrice ‘ndranghetistica»

Nicola Acri, nel corso delle sue confessioni fornisce dettagli utili in merito agli assetti della criminalità organizzata cosentina, facendo emergere «tanto l’unitarietà e la matrice ‘ndranghetistica, quanto l’autonomia di ciascun sotto-gruppo». «Il gruppo dei “Banana”, per quanto in mia conoscenza, è da sempre inserito all’interno della ‘ndrangheta; ho saputo direttamente da Fiore Abbruzzese di Cassano della “novità” di soggetti formalmente affiliati. Tale affiliazione su Cosenza, tuttavia, non ha impedito di creare un gruppo autonomo ed in grado di avere rapporti diretti con gli omonimi di Cassano». «Allo stesso modo – continua Acri – della ‘ndrangheta cosentina facevano parte altri soggetti che io ho conosciuto come Giovanni Abbruzzese, Franco Bruzzese (con il quale ho anche tentato di realizzare una rapina ad un portavalori a Cerignola), Carlo Lamanna, Donato Anzillotta, Luigi Berlingieri. Testimone diretto della riunione dei clan cosentini e della nascita della “Confederazione” è Ernesto Foggetti. La sua narrazione parte dalla faida tra clan, sigillate con proiettili e sangue. «A seguito dell’omicidio del padre di Michele Bruni, avvenuto nel 1999, si era creata una “tensione” all’interno dell’area criminale cosentina. Da una parte vi erano i Bruni con gli “Zingari” e dall’altra gli “Italiani” con i gruppi di Lanzino e Domenico Cicero. Fra l’altro, la tensione tra questi ultimi e Michele Bruni era basata anche sul fatto che gli stessi avevano “ordinato” l’omicidio di Francesco Bruni. Nei primi anni 2000 si è avuta quindi tale guerra che ha registrato una sorta di armistizio, solo nel 2006, sancito nel corso di una riunione tenutasi a casa di Gianfranco Bruni, detto “U tupinaru”, alla quale parteciparono Patitucci, Gianluca Marsico, Michele Bruni, Maurizio Rango e Fiore Abbruzzese, non parteciparono solo Domenico Cicero ed Ettore Lanzino». Della circostanza, Foggetti non viene reso edotto da altri “compari” ma è testimone diretto. «All’esito della riunione si stabiliva una “pax” che avrebbe portato ad una sorta di “federazione” tra gruppi, indicando le modalità anche per lo spaccio delle sostanze stupefacenti e per l’esecuzione delle estorsioni e dell’usura, con un’unica “bacinella” in cui far confluire i proventi di tali attività».

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