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«La gestione del Palazzetto e i favori in cambio di voti». Il patto del “gruppo D’Ambrosio” con Manna e Munno

Le accuse della Dda di Catanzaro a sindaco e assessore di Rende. «Quadro sconcertante. Il “clan” ha scelto di rifiutare i classici 100 euro a voto in cambio di altre utilità»

Pubblicato il: 01/09/2022 – 12:26
«La gestione del Palazzetto e i favori in cambio di voti». Il patto del “gruppo D’Ambrosio” con Manna e Munno

RENDE Scambio elettorale politico-mafioso. È l’accusa della Dda di Catanzaro per Marcello Manna, sindaco di Rende e presidente dell’Anci Calabria. Il gip distrettuale ha disposto gli arresti domiciliari per il primo cittadino. Esigenze cautelari, scrive nell’ordinanza, «desumibili dalle modalità del fatto (aver stretto un patto di scambio elettorale politico-mafioso con membri apicali della criminalità organizzata) e dalla personalità dell’indagato che, seppur incensurato, ha dimostrato predisposizione a delinquere scendendo a patti con membri di un’associazione mafiosa, in particolare col gruppo D’Ambrosio». La Dda cita, a supporto della tesi, le dichiarazioni del pentito Adolfo Foggetti, che «costituiscono un ulteriore elemento a fondamento della sussistenza delle esigenze cautelari, evocando contatti duraturi nel tempo con la criminalità organizzata cosentina». 
Le parole di Foggetti si riferiscono alla campagna elettorale per le Comunali di Rende del 2014. «Tutti gli appartenenti al clan federato Rango-Zingari e Lanzino-Ruà – afferma il collaboratore di giustizia – si sono mobilitati per fare la campagna elettorale all’avvocato Manna, ad eccezione di Maurizio Rango, il quale da me interpellato e richiesto sul punto ebbe a riferirmi che i suoi familiari e/o parenti residenti in Rende erano particolarmente legati a Principe». Foggetti rievoca il sostegno, a suo dire, offerto al penalista e dice che sarebbe stato «ringraziato da Marcello Manna in persona per l’impegno elettorale profuso». 

Il patto D’Ambrosio-Munno. «Ho rifiutato cento euro a voto»

Dalle intercettazioni emergerebbe «la sussistenza di un rapporto tra Massimo D’Ambrosio e Pino Munno, assessore (ai lavori pubblici, manutenzioni, e rapporti con la Rende Servizi srl, e benessere animali) del Comune di Rende già nel 2014». Secondo la Dda, D’Ambrosio si sarebbe adoperato «per il sostegno elettorale a Munno e Manna: “Io sto portando a Manna e a Munno”». Lo stesso D’Ambrosio avrebbe contattato «diverse volte» Munno «per chiedergli di risolvere problemi di manutenzione delle strade e/o dei palazzi, rivolgendo tali richieste con tono estremamente confidenziale, e avendo sempre risposte affermative da parte del politico». L’assessore, secondo quanto riferito in una conversazione del 22 maggio 2019, viene definito come uno che «non chiude mai la porta» e il clan, anziché i “classici 100 euro a voto” («ho rifiutato cento euro a voto») avrebbe individuato «il tornaconto in altre “utilità”». 
«Nel classico stile politico-mafioso – appunta ancora il gip – D’Ambrosio riferiva al Munno che si sarebbe occupato di “controllare” l’andamento elettorale nel suo quartiere di competenza, ossia il Cep (“io voglio guardarmi un poco la Cep … mi interessa là a me”), e il politico concordava pienamente con tale iniziativa (“ti raccomando là”)». Il 30 maggio 2019 D’Ambrosio può affermare al telefono che «abbiamo dato una buona mano (…), noi il nostro dovere lo abbiamo fatto». Segue il proposito di discutere con il politico sugli effetti di quel sostegno: «Ci sediamo e organizzi i progetti», gli dice l’amico Eugenio Filice.  

Il presunto accordo per la “gestione” del Palazzetto di Rende

Nel mese di luglio Massimo D’Ambrosio, Ivan Montualdista ed Eugenio Filice fanno un riferimento esplicito al sindaco rieletto di Rende. «Me lo dice lui (parlano di Pino Munno, ndr) quando dobbiamo andare da Manna… vuole parlare con Manna mio Fratello per il fatto del palazzetto… siccome aveva pigliato l’impegno che Manna ce lo faceva pigliare… ripigliamo adesso i discorsi… prima che è troppo tardi… mi deve dire che devo fare e che non devo fare… perché la persona pulita c’è… lui deve parlare per forza con Manna… se ce la fa lui l’imbasciata». Per i magistrati antimafia, il dialogo «risulta altamente indicativo del coinvolgimento del sindaco Manna nell’intera vicenda (…) relativamente alla sicurezza che i D’Ambrosio hanno rispetto all’ “appoggio” del Manna». Evidenzia, la Dda di Catanzaro, il dato della «recente scarcerazione di Adolfo D’Ambrosio», membro apicale del gruppo, considerato «dagli accoscati (e soprattutto dal fratello Massimo) come garante del rispetto dei termini dell’accordo ma anche come titolare dell’accordo medesimo, tant’è che subito dopo la sua uscita dal carcere, a discapito di qualsivoglia resipiscenza, prendeva subito in mano le redini degli affari dell’omonimo gruppo pretendendo un incontro con il sindaco Manna». 

Il gip: «Munno non millanta la disponibilità di Manna»

Il trait d’union tra i D’Ambrosio e il primo cittadino sarebbe l’assessore Munno. Per il giudice delle indagini preliminari non si può «ritenere che l’accordo politico-mafioso veda come parte solo il Munno e non anche il Manna». Si dovrebbe, in sostanza, escludere che Munno avesse «semplicemente millantato la disponibilità del Manna, prendendo eventualmente accordi spendendo il nome del sindaco senza metterlo al corrente. L’esclusione di tale ipotesi consegue al fatto che non solo la caratura criminale dei D’Ambrosio, ben conosciuta, avrebbe fatto desistere Munno dal prendere accordi che non avrebbe potuto rispettare, ma anche dal fatto che D’Ambrosio riferiva a Montualdista che Manna gli aveva chiesto di presentare il progetto (dice Manna: presenta un progetto). Tale affermazione veniva pronunciata nel corso di un dialogo privato e senza (ovviamente) che gli interlocutori sapessero di essere intercettati, di talché ne consegue che va considerato genuino e scevro di intenti calunniatori». 

«Quadro sconcertante. Il sindaco-penalista comprende l’illiceità degli accordi»

Massimo D’Ambrosio al telefono con la moglie della questione del Palazzetto. E riferirebbe i contenuti del presunto incontro tra il fratello Adolfo e Manna. «Allepoca (Manna, ndr) ha detto… allepoca non labbiamo potuto fare unaltra gara ha detto… se ti dico che tutti i giorni veniva la Dda qua… labbiamo dovuto chiudere questo casgo di coso… mai lo chiudevamo e mai ce li cacciavamo di dosso… se ora ci vuoi tornare ha detto… ora io faccio la  gara apro il bando… e qual è ilproblema ha detto… gli ha detto il fatto del palazzetto… ha detto mancano altri duecentomila euro per finirlo… ci sono delle ditte che lo vogliono… lo finiscono loro dice e lo do… ha detto portami il nominativoche firmiamo il bando… che lui gli ha detto voglio la gestione.. .ci voglio fare il bar… il tabacchino... ha detto mi… portami questo qua e poi vedi che cè pure… che puoi fare quella… una legge che adesso scade però fra poco che finisce aveva fatto già il governo prima…precedente… quella Lesto al sudsi possono avere cinquantamila euro a persona… dopo quando… quattro persone duecentomila euro.. .trentacinquemila euro a fondo perduto… e gli altri li dovete… in otto anni… e gli ha detto ma se casomai ci vuole un affìtto o con il terreno del Comune… no possiamo fare pure in quella maniera ha detto… tu prepara ha detto la cosa il commercialista… poi noi alla regione».
Non è la voce di Marcello Manna a riferire i fatti ma, per il gip, la conversazione «confidenziale tra marito e moglie» va considerata «pienamente attendibile» e farebbe emergere un quadro «sconcertante». Questo perché «Manna, oltre che sindaco, è avvocato penalista, e tale posizione qualificata determina una maggiore consapevolezza non solo dei soggetti con cui interloquiva, ma anche dell’illiceità degli accordi. Del resto, Massimo D’Ambrosio raccontava alla moglie che il rallentamento della questione del palazzetto veniva imputato da Manna medesimo alla Dda, e che proprio con Manna parlavano della testa di legno che sarebbe figurata al posto del fratello Adolfo. Emerge, dunque, non solo che Manna era consapevole della caratura criminale dei D’Ambrosio, ma che scientemente con questi partecipava all’ideazione del progetto palesemente illecito suggerendo financo altre soluzioni (progetto “resto al sud”) per lucrare ulteriore denaro. Va sottolineato che la natura illecita era ragionevomente conosciuta dal Manna, sia perché al contrario non si spiegherebbero i timori di indagini svolte dalla Dda, sia per la condivisa necessità di intestare il “progetto palazzetto” ad una testa di legno». 

L’appuntamento nello studio del penalista

Il gruppo D’Ambrosio è ragionevolmente certo di “aggiudicarsi” la gestione del palazzetto («ti ho fatto la campagna elettorale, le promesse sono promesse») e, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, «la conferma degli incontri tra i D’Ambrosio e il Manna» verrebbe «ulteriormente offerta dalla telefonata di Massimo D’Ambrosio allo studio Manna per fissare un appuntamento, precisando che si erano già visti e che con il Manna erano rimasti d’accordo che si sarebbero rivisti dopo 7-8 giorni. Peraltro, va evidenziato che alla domanda della segretaria sulle ragioni della richiesta di appuntamento il D’Ambrosio precisava che si trattava di una “pratica” di cui Manna era già al corrente».  

«Gruppo D’Ambrosio favorito in cambio di un pacchetto di voti»

Per il gip sarebbero, dunque, stati raggiunti due accordi con il gruppo Ambrosio, uno da parte di Munno e l’altro di Manna, e questi patti sarebbero «strettamente connessi tra loro». Questa la sintesi: «In cambio di un cospicuo pacchetto di voti, recuperato dal gruppo ‘ndranghetista, il Munno e il Manna, relativamente ai rispettivi ruoli pubblici, avrebbe favorito la sotto-articolazione “Gruppo D’Ambrosio”, mediante l’aggiudicazione di gare (in primis l’affare del “palazzetto”) e assicurando un perpetuo trattamento di favore comprensivo di lavori di urbanistica e di favoritismi lavorativi, nonché una serie di utilità (date/promesse) che, come detto, determinavano i D’Ambrosio a rinunciare ai classici 100 euro per voto». (redazione@corrierecal.it)

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