«La mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari» ebbe a dire ai tempi delle stragi di mafia Gesualdo Bufalino, l’insegnante di Comiso, scrittore e amico di Leonardo Sciascia.
Una ferma convinzione che assume, in giorni come questi, il tono di un lascito ispirato dai quei sentimenti di giustizia e libertà pagati con la vita dalle decine di uomini e donne che hanno scelto di non piegarsi, di non scendere a patti con avanzi di galera diventandone magari complici in attività delittuose come nell’ultima inchiesta portata avanti dalla Dda di Catanzaro. Di non essere condannati a vivere e morire in una terra considerata da molti solo una “terra di ‘ndrangheta”, soffocati da un regime mafioso che, oggi, tiene d’occhio il mondo.
Il monito di Bufalino – trascurato dalla politica ed ignorato da uno Stato, oramai, assuefatto all’inerzia della quotidianità – è senza dubbio uno degli antidoti alla nuova vecchia ‘ndrangheta (una tipicità solo italiana) che andava soffocata lì dove ha emesso i primi vagiti, lì dove sono ancora i proiettili a parlare anche durante la campagna elettorale. Lì e altrove dove le cronache raccontano di morti ammazzati, di sicari spietati, capaci di tutto, di intimidazioni continue e di imprenditori che da vittime diventano membri collusi, viziando l’economia.
Ma la sola repressione non può bastare. Serve un argine che parta dal basso, dai calabresi, e che sia capace di contrastare la mafia e la mafiosità. E nelle scuole calabresi più che altrove, gli insegnanti devono persuadere i ragazzi – portati a considerare le regole con un certo fastidio – che l’illegalità non conviene a nessuno, neppure a chi cerca scorciatoie e potenti rampe di lancio per arricchirsi.
Nessuno può rimanere spettatore passivo tanto meno gli organi di stampa, finiremmo con l’essere complici. Ditelo alla Cartabia. (paola.militano@corrierecal.it)
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