Pur consapevoli delle difficoltà economiche e sociali che avrebbe portato l’autunno, quando oppressi da inflazione, recessione e speculazione su materie prime ed energia, sarà a rischio la tenuta sociale del paese, i partiti politici non hanno avuto scrupolo ad aprire una crisi di governo ed a costringere, gli italiani, ad una insolita campagna elettorale estiva.
Giusto il tempo di far maturare il diritto al vitalizio per deputati e senatori della XVIII legislatura ed è venuto giù tutto.
A voler essere sinceri, già l’elezione del Presidente della Repubblica, per come si era determinata, non lasciava presagire niente di buono. Un’ esperienza dalla quale i partiti e le coalizioni uscirono dilaniati ed alcune leadership, soprattutto quelle all’occasione più dinamiche, ridicolizzate.
Il Governo di Unità Nazionale, tra slealtà e intrighi, era finito in quei giorni di fine gennaio 2022.
Il disastro di oggi, provocato da partiti immaturi e irresponsabili, è l’ultimo atto di un Parlamento fragile e con poca cultura istituzionale e politica; nato nel 2018 da una legge elettorale (Rosatellum) che non garantisce maggioranze certe e qualità della rappresentanza, ha dato vita a tre governi, sostenuti da tre diverse maggioranze parlamentari, tutti guidati da figure tecniche piuttosto che politiche.
La crisi dei partiti è tutta qui. Accentuata dalla legge elettorale in vigore, che se consente ai leader di “nominare” i parlamentari, costringe i cittadini a ratificare scelte compiute altrove, lontano dagli interessi dei territori. I partiti sono diventati organizzazioni leaderistiche interessate a gestire il potere piuttosto che a farsi carico dei bisogni concreti delle persone.
D’altronde, l’identificazione del partito con il proprio leader non aiuta a costruire percorsi collettivi virtuosi, piuttosto banalizza i contenuti, che diventano semplici spot elettorali, da twittare al mattino appena svegli.
E così, nonostante il proliferare di liste elettorali in rappresentanza dei più svariati interessi (oserei dire personali), il protagonista di questa tornata elettorale, continuerà ad essere l’astensionismo. Sintomo e causa della mancanza di rappresentatività dei partiti, dell’incapacità degli stessi di proporre un’idea di sviluppo del Paese.
Gli italiani percepiscono il disinteresse della politica verso la società così come comprendono che la ricerca del consenso non è finalizzata a rappresentare istanze collettive ma a soddisfare il semplice esercizio del potere. E decidono di non votare.
Il percorso democratico del nostro Paese, dal dopoguerra in poi, si è rafforzato anche grazie alla qualità e competenza delle classi dirigenti politiche. Attraverso il presidio delle istituzioni e le capillari organizzazioni territoriali dei grandi partiti di massa, si è mantenuto un legame, forte, tra la politica e la società.
Quando questa mediazione è venuta meno è nato il populismo. Che non è un’ideologia, piuttosto un approccio, un metodo di lavoro che amplifica i problemi senza avere la capacità di risolverli. La narrazione di una società frammentata, inquieta e impaurita.
Ecco in questa fase la politica, tutta, mostra un tratto populista: non offre soluzioni ma tante promesse effimere che nessun leader sente l’esigenza di approfondire, tanto che si parli di ponte sullo stretto, di flat tax, di ius scholae o di politiche energetiche.
La politica continua ad offrire soluzioni monche, sia da destra che da sinistra.
Mentre il centrodestra naviga, tra mille contraddizioni interne, verso la vittoria elettorale. Il centrosinistra è frammentato in mille rivoli. E il Terzo polo gioca la sua partita in solitaria, senza grandi riscontri, almeno per il momento.
Il Pd che guida un’alleanza schiacciata sulla sinistra ideologica, arranca, poco attrattivo anche quando propone battaglie identitarie sul lavoro (salario minimo, precari, riduzione dei contratti a termine), sulle quali si fa scavalcare dal M5S, guidato da un leader nato populista e scopertosi all’improvviso progressista.
Il Pd vive nel limbo del vorrei ma non posso. Le tante indecisioni, proprio perché toccano la vita delle persone, saranno giudicate senza appello.
L’auspicio è che i partiti politici piuttosto che demonizzare il comportamento dell’avversario si facciano portatori di iniziativa politica. In tempi di guerra è opportuno mettere da parte le ideologie e investire in pragmatismo, individuare contenuti e avanzare proposte sui temi concreti: salari, energia, ambiente, giustizia, sanità, merito e opportunità. Provare a realizzare quanto si tende a promettere.
Al netto della confusione di questi giorni, gli italiani hanno il diritto di vivere in un Paese evoluto, moderno, civile, democratico, dove i conflitti si armonizzano nel confronto tra le parti. Intanto, la pazza estate italiana si consuma tra astensionismo e populismo.
Senza politica, senza idee, senza futuro.
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