PALERMO «Il delitto di mio padre, origine di tanta disperazione, non ha comunque mai intaccato la mia idea su Palermo. Qui ho vissuto i momenti piu’ belli della mia giovinezza. Certo, e’ una citta’ dove, in certi periodi, per forza di cose, ho dovuto “guardarmi” anch’io, facendo molta attenzione. Ma Palermo fa parte di me, mio nonno materno comandava la legione dei carabinieri dove ora mi trovo: sono tante le sensazioni belle che provo». Così Nando Dalla Chiesa, oggi a Palermo per partecipare alle commemorazioni per l’anniversario della strage in cui quarant’anni fa fu ucciso il padre, il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, parla del suo rapporto con la città in un’intervista al Giornale di Sicilia. Riferendosi al rapporto tra Cosa Nostra ed alcuni settori della società in qualche modo contigui alla mafia, sui quali aveva puntato il dito anche il padre durante i suoi 127 giorni a Palermo da prefetto, Nando Dalla Chiesa, che ha insegnato Sociologia della criminalità organizzata all’università di Milano, osserva: «ci sono persone disposte a fare affari con i mafiosi, gente che tresca con chi è mafioso. E, numericamente parlando, sono più dei mafiosi. Se c’è chi lavora contro la mafia c’è anche chi è disponibile a entrare in collusione con essa. E sbaglia chi pensa che la questione riguardi solo il sud perché al nord è cresciuta in maniera esponenziale».
Nando Dalla Chiesa sottolinea anche il significato di cerimonie come quella di oggi per ricordare il sacrificio di chi ha combattuto la mafia: «abbiamo bisogno di racconti che sappiano spiegare, di storie in cui le parole abbiano senso e vero significato. E non è assolutamente detto che quelle delle autorità non lo abbiano. Se si sfregia il murale dedicato a Paolo Borsellino o la piazzetta dedicata al Beato padre Pino Puglisi, significa che non l’abbiamo saputo raccontare, che non è ancora ben chiaro il valore e lo sforzo di quelle persone».
Carlo Alberto Dalla Chiesa fu anche uno dei primi esponenti delle istituzioni ad andare nelle scuole per parlare ai giovani della lotta alla mafia, un rapporto sottolineato anche dal figlio Nando: «non si possono precettare gli studenti portandoli alle manifestazioni, bisogna viverle conoscendo la storia di chi si commemora. Io, ad esempio, ho trovato una straordinaria partecipazione emotiva tra i bambini di una scuola elementare di Monza. Perché memoria non significa solo ricordare: bisogna anche insegnare ad amare le persone». Il sociologo parla infine del ritorno sulla scena politica siciliana di protagonisti del passato condannati per mafia. «Le istituzioni – dice – sono andate più avanti della politica. Certo, averla al proprio fianco, aiuterebbe ma la storia è lotta, non esiste un progresso unilineare. Credo che, come società, abbiamo il dovere di fare del nostro meglio perché, da sola, la politica non cambia».
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una dichiarazione ricorda l’uccisione, 40 anni fa, del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro, il ferimento mortale dell’agente Domenico Russo, deceduto alcuni giorni dopo. Fatti che «gettarono Palermo, la Sicilia, il Paese intero nello sgomento. Ancora una volta la ferocia della violenza criminale mafiosa, in un crescendo di arroganza, non risparmiava un servitore della Repubblica né le persone che avevano l’unica colpa di essergli vicine», afferma il capo dello Stato. «Quell’estremo gesto di sfida contro un eroe del nostro tempo, un Carabiniere protagonista della difesa della democrazia contro il terrorismo, si ritorse contro chi lo aveva voluto. La comunita’ nazionale, profondamente colpita da quegli avvenimenti, seppe reagire dando prova di compattezza e di unità d’intenti contro i nemici della legalità, delle istituzioni, della convivenza civile», ricorda.
«Strumenti più incisivi di azione e di coordinamento vennero messi in campo, facendo tesoro delle esperienze di Dalla Chiesa, rendendo piu’ efficace la strategia di contrasto alle organizzazioni mafiose».
«Quello sforzo – prosegue ancora Mattarella – fu sostenuto e accompagnato da un crescente sentimento civico di rigetto e insofferenza verso la mafia, che pretendeva di amministrare indisturbata i suoi traffici, seminando morte e intimidazione. Commozione e sdegno alimentarono le speranze dei siciliani onesti, ne rafforzarono il rifiuto della prepotenza criminale».
Per il presidente della Repubblica «la lezione di vita del Prefetto Dalla Chiesa, la memoria delle vittime di quel vile attentato vivono nell’impegno delle donne e degli uomini che nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione operano per la difesa della legalità, dei giovani che vogliono costruire una società più giusta e trasparente, dei tanti cittadini che, consapevoli dei loro diritti e doveri, avversano responsabilmente la cultura della sopraffazione e della prevaricazione. Nel rendere omaggio al ricordo di quell’estremo sacrificio, rinnovo alle famiglie Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo la solidale vicinanza mia e dell’intero Paese», conclude.
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