COSENZA «Per come so io ci dovrebbe essere un blitz sopra i cento indagati. Poi però dicono che ci dovrebbe essere un blitz grosso, grosso, 200-250 persone indagate». La profezia di Francesco Patitucci, reggente della ‘ndrangheta federata di Cosenza, risale addirittura al 5 giugno 2019. È un “si dice” che fa drizzare le antenne al suo interlocutore, Sergio Raimondo, detto Francesco. La conversazione avviene nell’abitazione del boss succeduto a Ettore Lanzino nella reggenza della struttura mafiosa della città dei Bruzi. Raimondo – pare quasi un dettaglio davanti alla maxi operazione della Dda di Catanzaro – non dovrebbe trovarsi in quell’appartamento: è agli arresti domiciliari, potrebbe allontanarsi soltanto per visite e cure mediche. In quel caso partecipa a una sorta di summit che viene intercettato dalle cimici degli investigatori. La captazione viene considerata determinante per dimostrare che Raimondo avrebbe violato la misura degli arresti domiciliari per agevolare il «gruppo mafioso» nonostante i rischi di aggravamento della misura. In quell’incontro che i magistrati considerano un summit di ‘ndrangheta, Patitucci e Raimondo si lasciano andare a riflessioni sulla loro (e sulle altre) gang.
L’attenzione viene calamitata dallo “scoop” del boss. «Fine mese… per come so io ci dovrebbe essere un blitz sopra i cento indagati. Poi però dicono che ci dovrebbe essere un blitz grosso, grosso, 200-250 persone indagate». Raimondo va subito al sodo: «In galera quanti?». E Patitucci replica: «Loro non è che ti dicono quaranta carcerati… cinquanta. Ma dove siamo tutte queste persone, France’?». Patitucci tiene evidentemente la contabilità dei “soldati” della malavita cosentina. E Raimondo capisce subito a cosa si riferisca: «No… perciò non è… È una cosa sono tutti indagati… ci sono pure politici!». La deduzione è immediata. E letta tre anni dopo anche efficace.
Quel summit è occasione per riepilogare l’elenco delle attività commerciali storiche sottoposte a estorsione. E i patti per la suddivisione delle entrate con gli altri clan. C’è anche spazio per qualche confessione privata. È sempre il boss reggente a parlare: «France’ (l’interlocutore è sempre Raimondo, ndr) io ho sessant’anni… mi sono fatto trentuno di galera». «Duecento», risponde l’amico per augurare lunga vita a Patitucci. «Io avevo un obiettivo nella vita – risponde il boss –, uscire dagli imbrogli… e quando sarà… io non posso fare che davanti ti dico una cosa e di dietro te ne dico un’altra. La faccia di Francesco Patitucci era, è e sarà sempre una. Non deve essere… io vengo a casa tua… e ci vengo con questa faccia… tu vieni a casa mia e deve essere questa faccia». Patitucci parla, in maniera criptica, delle relazioni all’interno della cosca. E ribadisce a Raimondo che per lui ha «un debole».
Per i magistrati della Dda «il contenuto della conversazione e le finalità dell’incontro sono chiare, poiché i diversi argomenti trattati erano tutti riguardanti l’associazione mafiosa e le attività delinquenziali poste in essere». Le attività estorsive del gruppo nei confronti di alcuni esercizi commerciali storici di Cosenza, la riscossione (e ripartizione) dei proventi, gli assetti criminali. E poi quel blitz delle forze dell’ordine nel quale ipotizzavano un loro coinvolgimento. L’operazione che avrebbe dovuto coinvolte 200-250 persone. Gli indagati nell’inchiesta della Dda di Cosenza sui clan “federati” sono 254. (p.petrasso@corrierecal.it)
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