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Mario Piromallo, dalle fibrillazioni nel clan Lanzino al patto stretto con D’Ambrosio

Detto “Renato”, è considerato «al vertice del sodalizio criminale». I contrasti con Porcaro e Di Puppo lo allontanano dal gruppo e si “rifugia” nella sua base operativa a Zumpano

Pubblicato il: 08/09/2022 – 7:49
di Fabio Benincasa
Mario Piromallo, dalle fibrillazioni nel clan Lanzino al patto stretto con D’Ambrosio

COSENZA Mario Piromallo detto “Renato” è considerato elemento di vertice del clan “Lanzino-Patitucci”. Quello con il sodalizio criminale è un rapporto burrascoso, pupillo di Francesco Patitucci, si scontra con il “delfino” di quest’ultimo Roberto Porcaro designato come reggente durante la carcerazione del boss (fino al 4 dicembre 2019). Con la scarcerazione di Patitucci e con l’arresto di Porcaro, il capo in libertà riprende le redini dell’organizzazione e riallaccia i rapporti anche con Piromallo.

Il quartier generale di “Renato”

Gli investigatori – nell’inchiesta denominata Reset – tracciano il profilo di Piromallo e sottolineano più volte l’attenzione, quasi maniacale, alle comunicazioni e agli spostamenti. «Ringraziando a dio, ad oggi le parole, non ci hanno mai pizzicato perché abbiamo avuto sempre rapporti diretti…». Nonostante tutto, però, si segnalano diverse attività di intercettazione eseguite dagli investigatori con protagonista Piromallo. Chi indaga sarebbe riuscito inoltre ad individuare la sua base operativa, cioè il luogo fisico dove avrebbe incontrato i suoi sodali o le presunte vittime delle attività illecite. Si tratta di un «negozio di frutta e verdura a Zumpano». E’ il gps ad incastrarlo, nel periodo compreso tra il 6 ed il 26 febbraio 2019. «Piromallo sostava quotidianamente per pochi minuti davanti al negozio di frutta e sin dalle prime captazioni, audio e video, si è potuto notare come utilizzasse lo stesso come luogo adibito alla cura dei propri affari criminali». E’ lì che incontra, ad esempio, Nicola Abbruzzese detto “Semiasse” «fratello del più noto Francesco Abbruzzese detto “Dentuzzo”, arrestato il 15 dicembre del 2000 ed attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Terni in regime di cui all’41 bis». Questo per gli inquirenti dimostrerebbe quanto sia «alta la considerazione di cui gode Piromallo in campo criminale, non solo a livello locale ma anche a quello provinciale ed extraprovinciale». Il collaboratore di giustizia Silvio Gioia, nell’interrogatorio reso il 28 dicembre 2014, chiamato a dare informazioni su Piromallo, confessa: «Abbiamo il sistema dei “siti” per le scommesse che sono collegati a server “gestiti” da Renato Piromallo. Tutte le agenzie di Cosenza hanno un collegamento a tale sistema di scommesse».

Il summit di ‘ndrangheta

E’ il 16 luglio del 2019, nell’abitazione di Massimo D’Ambrosio si tiene un vero e proprio summit di ‘ndrangheta al quale prendono parte Mario Piromallo e Salvatore Ariello. La reunion ha come scopo l’incontro con Adolfo D’Ambrosio, fratello del padrone di casa, e storico esponente del clan Lanzino «per conto del quale ha svolto mansioni da “reggente” nella città di Rende, fino al suo arresto ed alla relativa condanna per una serie di estorsioni». Fresco di scarcerazione, Adolfo D’Ambrosio vuole tornare ad assumere il ruolo di protagonista e i suoi propositi vengono cristallizzati in una intercettazione ambientale captata dai Carabinieri. I militari ascoltano con attenzione e si accorgono di un vero e proprio «corteggiamento che Piromallo mette in campo nei confronti di Adolfo D’Ambrosio per incoraggiarlo a fare gruppo con lui». La circostanza certifica le fibrillazioni interne al clan Lanzino, attualmente guidato da Francesco Patitucci, ma attraversato da rancori e frizioni interne che hanno portato Piromallo e Ariello a saldare i rispettivi interessi e a fare gruppo tra loro per contrastare l’asse creatasi tra altri due gerarchi del clan: Roberto Porcaro e Michele Di Puppo, a loro volta forti di entrature con la cosca degli “Zingari”. Il discorso entra nel vivo quando, nel corso della conversazione, D’Ambrosio si complimenta con Piromallo per il ruolo di vertice assunto nel clan Lanzino e quest’ultimo lo aggiorna su quello che è l’assetto dell’organizzazione criminale, rievocando un patto da lui stipulato con Di Puppo a seguito della necessità manifestata a quest’ultimo di gestire in autonomia le estorsioni di propria competenza. “Renato spiega di aver dato il proprio assenso a condizione che ognuno provvedesse per ciò che gli compete al mantenimento dei detenuti in carcere, ma di essere rimasto poi deluso dal comportamento di Di Puppo. «Siamo arrivati ad un punto che i cristiani detenuti ce li siamo divisi, nel senso che abbiamo fatto un ragionamento, almeno Michele l’altra volta ha sposato un ragionamento ha detto “io mi sento più motivato pure a livello di estorsioni, se io la vado a chiudere mi chiudo mi prendo i soldi miei, perché se io devo andare a chiudere un’estorsione e mi divido i soldi con due o tre persone o quattro persone, tengo meno motivazione”, “Michè lo stai dicendo tu, sta bene a te, se sta bene a te sta bene pure a me, l’importante che noi mandiamo i soldi ai carcerati”, e siamo rimasti ad un punto che non sia mai abbiamo un problema esterno a noi, siamo tutti uniti più di prima ma io non ci credo».

L’alleanza con Adolfo D’Ambrosio

I malumori, i mal di pancia e le presunte frizioni nel clan Lanzino spingono “Renato” a stringere alleanza con D’Ambrosio. Piromallo non si fida di nessuno e invita il suo interlocutore a fare lo stesso e lo illumina sottolineando in più passaggi la scarsa serietà che caratterizza l’universo criminale di riferimento ma non il microcosmo che lui rappresenta. “Renato” si lascia andare anche ad affermazioni rivelatorie: «Poi ne parliamo, vediamo la situazione, eh vuoi fare come facciamo noi, ti trovi meglio con loro, prendi il materiale con loro, ti fa l’estorsione con loro…». Il lungo discorso di Piromallo convince Adolfo D’Ambrosio che accetta di aderire al suo gruppo perché apprezza «la serietà” e l’esperienza», ma al tempo stesso chiede rassicurazioni sull’assistenza di cui dovrebbe godere qualora in futuro dovesse essere colpito da una misura cautelare.

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