BOVALINO Era l’8 settembre 1990, un sabato sera. E in mezzo alla folla presente a Bovalino Superiore in occasione della festa patronale c’era un killer armato dalla ‘ndrangheta pronto a colpire a morte il brigadiere dei carabinieri Antonino Marino. Un delitto che scosse profondamente la Locride, anche perché consumato in un’occasione di festa e in mezzo a centinaia di persone, ma soprattutto perché quel giorno a restare feriti furono anche un bambino di soli due anni e una donna incinta, il figlio e la moglie del brigadiere.
Trentatré anni, originario di San Lorenzo, nel Reggino, una vita spesa nella lotta ferrea alla criminalità organizzata. Marino, che prestava servizio a San Ferdinando, si trovava in vacanza a Bovalino Superiore, paese d’origine della moglie Rosetta Vittoria Dama. Poco dopo la mezzanotte il killer si avvicinò e, approfittando del rumore provocato dallo spettacolo pirotecnico in corso, esplose contro di lui sei colpi di pistola. Ad essere colpiti, rimanendo feriti, la moglie incinta e il figlio, oggi capitano dei carabinieri.
Il brigadiere fu portato d’urgenza all’ospedale di Locri, ma nonostante i tentativi dei medici di salvarlo, morì dopo poche ore, il 9 settembre.
L’omicidio di Marino, da sempre impegnato nel contrasto alla criminalità organizzata in uno dei territori più difficili d’Italia scosse profondamente la comunità. La Locride era nel pieno dei suoi anni più difficili, quando i morti ammazzati e i sequestri di persona erano all’ordine del giorno. E il brigadiere, da profondo conoscitore del fenomeno mafioso, stava dando il proprio contributo per combatterlo. Negli anni precedenti al delitto era stato comandante della stazione di Platì e aveva collaborato nelle indagini su vari sequestri di persona, che in quegli anni rappresentavano una delle principali attività criminali della ‘ndrangheta sul versante ionico della provincia di Reggio Calabria.
Il delitto rimase per quindici lunghissimi anni con diversi punti interrogativi. E soltanto nel 2014, dopo le rivelazioni di un pentito, per l’omicidio di Marino furono condannati a trent’anni di carcere Francesco Barbaro e Antonio Papalia.
A 32 anni dalla morte di Marino, a Bovalino, come ogni anno, è stata deposta una corona di alloro nella piazza a lui intitolata nel 2011 e celebrata una messa in sua memoria. La cerimonia si è svolta alla presenza del comandante della Legione carabinieri Calabria, il generale di brigata Pietro Francesco Salsano, del prefetto di Reggio Calabria Massimo Mariani, del comandante provinciale di Reggio Calabria, il colonnello Marco Guerrini, e di altre autorità militari e civili. Presente anche l’amministrazione comunale di Bovalino guidata dal sindaco Vincenzo Maesano. A celebrare la funzione religiosa il vescovo di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva e il cappellano militare don Aldo Ripepi.
«È stato un atto sacrilego», ha detto nel corso della funzione il vescovo Oliva, ricordando anche il contesto nel quale si è consumato il delitto, una festa religiosa. «È una storia che lascia traccia nella vita di una famiglia e di una intera comunità. Certi avvenimenti devono essere sempre ricordati, ed è la comunità tutta che deve fare memoria di questo». «Marino – ha aggiunto Oliva – ha dato la sua vita per gli ideali umani e istituzionali. Tutta la comunità non può che essergli riconoscente per questo».
«L’Arma non dimentica, – ha affermato il generale Salsano rivolgendosi alla vedova del brigadiere Marino – non dimentichiamo i nostri caduti ed è fondamentale per noi che i familiari che hanno subìto questa immensa tragedia possano sentirsi parte di una famiglia ancora più grande».
«Bovalino vuole ricordare – ha detto il sindaco Vincenzo Maesano – perché il ricordo, la memoria e gli esempi positivi di lotta alla criminalità organizzata sono dei momenti di estrema importanza. Sono esempi positivi – ha concluso il primo cittadino – che una comunità che vuole crescere deve sempre seguire».
x
x