COSENZA «O paghi o ti incendiamo la bancarella». Breve e decisamente incisivo il messaggio inviato ai venditori ambulanti desiderosi di partecipare alla storica Fiera di San Giuseppe a Cosenza. A recapitare l’invito a regolarizzare la posizione – secondo quanto emerge dall’inchiesta “Reset”, uomini ritenuti vicini ai clan egemoni nella città dei bruzi e nell’hinterland.
Nella seconda decade di marzo, per circa una settimana, venditori ambulanti provenienti da tutta Italia e di diverse nazionalità riempiono le strade della città con i loro stand per proporre prodotti alimentari e di artigianato. Si tratta di un appuntamento sentito, atteso da migliaia di persone. Un’occasione ghiotta anche per la mala bruzia decisa ad imporre ai commercianti ambulanti il pagamento di una “tassa” per consentire loro di piazzare la propria bancarella. L’attività, molto remunerativa, è stata svolta dal clan Perna-Pranno per tutti gli anni 80′ e in parte del decennio successivo, ma a seguito dell’operazione “Garden”, a lucrare sulla Fiera di San Giuseppe per un breve periodo sarà la famiglia Bruni detti “Bella-Bella”. Negli anni successivi, a gestire il racket sarà invece il gruppo confederato Lanzino-Cicero sorto dalle ceneri delle vecchie cosche e a seguito del conflitto armato con i Bruni. Negli ultimi anni, il business è stato appannaggio della cosca Rango-Zingari, come ricostruito dagli investigatori nell’inchiesta “Reset“, coordinata dalla Dda di Catanzaro.
Sergio Del Popolo, detto ” U Sapunaru”, è venditore ambulante e – secondo alcuni collaboratori di giustizia – si troverebbe in una posizione privilegiata nel fornire informazioni ai clan sui profili dei commercianti da sottoporre ad estorsione. «Il denaro derivante dalle estorsioni commesse ai danni degli ambulanti che partecipano alla fiera di San Giuseppe, è poi diviso equamente tra il gruppo degli Zingari e quello degli Italiani» in bar del centro o in luoghi vicini alla manifestazione. E’ proprio Sergio Del Popolo – per chi indaga – ad «assistere a tale tipo di riunione e consegnare nelle mani del capoclan quanto ottenuto dal taglieggiamento e, sotto la supervisione di tutti gli ‘ndranghetisti, avviene la divisione». E’ il 9 gennaio 2015, quando il collaboratore di giustizia Adolfo Foggetti, riferisce quanto a sua conoscenza in merito al racket in Fiera. «Gli ambulanti erano avvicinati da Sergio “U Sapunaru” e da Mario Ferri che, per ogni fiera, versavano in bacinella, una somma oscillante tra gli undici e i tredicimila euro. Anche i giostrai della fiera erano soggetti ad estorsione. Costoro sono quelli che hanno le giostre anche a Piazza Loreto, ai Due Fiumi ed al parco Robinson e sono sempre stati “trattati” da Rinaldo Gentile. Per la fiera hanno sempre versato tre o quattromila euro». Il pentito Franco Bruzzese, un anno più tardi, riferirà: «Oltre ad altre estorsioni, Maurizio Rango ebbe a riferirmi che Mario Ferri si occupava di riscuotere le estorsioni alla fiera di San Giuseppe e tali estorsioni venivano realizzate unitamente a tale Sergio Del Popolo». Vincenzo De Rose, collaboratore di giustizia, nel 2017 aggiunge dettagli sulla riscossione delle somme. «Le persone pagavano dai 250 ai 500 euro, a seconda dei metri che occupavano. Gli ambulanti erano di varie regioni e già sapevano come funzionavano a Cosenza. Venivano minacciati con l’incendio della bancarella».
Queste estorsioni accadevano negli anni 2012, 2013 e 2014, «in tutti e tre questi anni io andavo con Sergio detto il “Saponaro” che materialmente prendeva i soldi, anche perché lui stesso ambulante». Il racconto del pentito continua. «Lui si occupava delle estorsioni durante la Fiera di San Giuseppe negli anni 2014 e 2015 per conto di Maurizio Rango, mio fratello Antonio, quello che attualmente è in carcere. Prima degli arresti Rango-Zingari, io avanzavo i soldi da Sergio e lui mi disse, in occasione della fiera, che tempo qualche giorno e mi avrebbe dato qualcosa, così dopo circa 4 o 5 giorni mi diede 500 euro e mi spiegò che non poteva darmi di più perché doveva rendere conto a Maurizio Rango». Sui danari incassati grazie all’imposizione del pizzo, è il pentito Luciano Impieri ad aggiungere dettagli in un verbale relativo ad un interrogatorio del 28 marzo 2018: «Dopo aver contato i soldi abbiamo constatato che la somma complessiva era di circa 21.000 euro, pertanto Alfonsino Falbo si è lamentato dicendo che quando era lui a raccogliere i soldi si arrivava ad una somma di 80.000 euro».
Della dura vita dei lavoratori ambulanti, costretti a veri e propri tour de force in giro per l’Italia, i clan paiono completamente disinteressarsi. “U Sapunaru” si sente sicuro e rasserena Luigi Abbruzzese circa l’impenetrabilità del muro di omertà che le vittime hanno deciso di innalzare per difendersi dalle rappresaglie dei clan. «Quando qualcuna delle vittime ha iniziato un timido tentativo di reazione – sottolineano gli investigatori – ad esso non è seguita una formale denuncia, come è accaduto nella circostanza riferita dai Carabinieri della Stazione di Cosenza il 23 marzo 2019». I militari raccolgono lo sfogo di un venditore ambulante. Che poi decide di non denunciare. «Anche io, ogni anno, ho dovuto pagare una cifra pari a circa 50 euro che unitamente agli espositori vicini abbiamo dovuto consegnare a coloro che si presentavano di volta in volta. La persona alla quale ho dovuto consegnare tale somma a titolo di occupazione del posto è Sergio Del Popolo. E’ lui che da molto tempo, per quanto mi risulta, è deputato alla raccolta delle estorsioni alla fiera di San Giuseppe». (redazione@corrierecal.it)
x
x