BRESCIA La condanna per quel colpo di pistola che poteva uccidere è stata più alta rispetto alla richiesta dell’accusa. Tredici anni e sei mesi, rispetto ai dieci che aveva indicato il pm in aula. A tanto è stato condannato dal tribunale di Brescia Antonio Di Sanzo, il 27enne che il 2 aprile di un anno fa a Montichiari armò il nipote di 12 anni. Gli diede in mano una pistola e indicò contro chi puntarla.
Nel mirino del ragazzino finì un 31enne, il rivale in amore dello zio. Il dodicenne, non imputabile per l’età, in quel periodo era in affido proprio dallo zio e dopo la vicenda il tribunale dei minori ha disposto il trasferimento in comunità.
La vittima venne ferita in strada da un proiettile che lo raggiunse ad una spalla.
«Dal mio punto di vista è stato un miracolo che non siano stati lesi organi vitali», ha detto durante il processo di primo grado il professor Andrea Verzeletti, medico legale che ha firmato la perizia medico legale. Il medico aveva spiegato che «si è trattato di una azione idonea a cagionare il decesso. Il proiettile ha completamente attraversato il torace dove si trovano organi vitali e solo per pochi millimetri non ha leso il cuore o i grossi vasi. Una differenza di pochi millimetri avrebbe potuto provocare la morte».
Da qui la contestazione nei confronti dell’imputato del reato di tentato omicidio, come mandante della spedizione punitiva nonostante lui non abbia mai ammesso e il nipotino si sia avvalso della facolta’ di non rispondere. «Con Antonio ci conosciamo da più di dieci anni e siamo amici, ma due settimane prima di quella sera mi ha chiesto di accompagnarlo in macchina sul fiume e mi ha mostrato una pistola per minacciarmi. Era convinto che mi vedessi con la sua fidanzata ma io non la conosco neppure», sono state le parole della vittima dal banco dei testimoni. «Non mi ero stupito del fatto che avesse una pistola perché in paese era conosciuto come un delinquente. Lo sentivo parlare con suo fratello di una rapina da far commettere al nipote e anche di soldi falsi», ha aggiunto.
Riguardo alla sera dell’attentato, ha spiegato che «lui era sullo scooter e suo nipote sulla bicicletta. Ho sentito uno scatto metallico, mi sono girato e ho visto il ragazzino che caricava una pistola, me la puntava e mi sparava». «Ho provato a correre verso casa e mi hanno soccorso i vicini» è stato il drammatico racconto. La vittima aveva riconosciuto i suoi aggressori, ma alla base dell’inchiesta prima e del processo poi, c’erano anche altri indizi pesanti contro Antonio di Sanzo. Indizi come la presenza in casa di proiettili compatibili con quelli che hanno ferito la vittima, e il testo delle chat tra il ragazzino e la fidanzata alla quale il dodicenne aveva confidato di essere in procinto di fare una cosa che gli avrebbe cambiato la vita.
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