RENDE “Cosa succede in città?” cantava Vasco Rossi negli anni 80′. E oggi, se lo chiede il movimento Attiva Rende e il consigliere Mimmo Talarico che occupa i banchi dell’opposizione. L’interrogativo segue di qualche giorno il sisma giudiziario che ha travolto pezzi importanti dell’amministrazione. Il sindaco (sospeso) Marcello Manna è finito ai domiciliari, insieme all’assessore Pino Munno. Nell’indagine coordinata dalla Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri e denominata “Reset”, sono indagate più di 200 persone, tra uomini ritenuti vicini ai clan cosentini, politici e imprenditori. Nella piazzetta in via Fratelli Bandiera a Commenda, Attiva Rende si riunisce dopo un documento firmato da tutti i consiglieri di opposizione, nel quale si chiedono le dimissioni del sindaco Manna.
«Il dibattito ruota intendo a tre “P”», dice Talarico. «Perificità della città di Rende è periodica rispetto alle dinamiche sociali. In secondo luogo, la permeabilità rispetto a singoli criminali, a gruppi che hanno avuto facile accesso al municipio e facili frequentazioni con esponenti apicali dell’amministrazione. E infine, la terza “P” quella di prospettiva. «Rende è meglio di così, ha sede l’Unical, è il comune con un reddito alto, possiede tutti gli anticorpi per reagire al degrado». Sulla possibilità che il comune venga commissariato, Talarico commenta così. «La Commissione sarebbe un guaio serio, la città sarebbe inchiodata e per evitarlo sarebbe opportuno che il sindaco si dimettesse. La politica deve avviare processo di aggregazione delle forze migliori». Per Talarico, «si parla a sproposito di garantismo e giustizialismo. I giudici fanno il loro lavoro, la politica evidentemente no».
Il microfono passa di mano in mano, sono i singoli cittadini presenti all’assemblea a prendere la parola. In molti ritengono quanto accaduto un fatto «grave» e per il quale è «sbagliato parlare di giustizialismo», ma è più opportuno «sollevare una questione morale». Il messaggio al sindaco Manna è chiaro: «chi amministra deve compiere un passo indietro» per dimostrare la propria innocenza e poi «tornare nel caso più forte di prima».
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