REGGIO CALABRIA L’inchiesta “Nuova Linea”, coordinata dalla Dda della Procura di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, ha messo a fuoco alcune delle dinamiche che riguardano – secondo gli inquirenti – l’espansione criminale nei territori di Villa San Giovanni, Scilla e Bagnara. E, a proposito di Bagnara Calabra, grazie ad alcune conversazioni intercettate e alle denunce presentate ai Carabinieri, le indagini hanno consentito di cristallizzare una certa operatività delle cosche di ‘ndrangheta locali, dedite non solo al controllo del territorio, ma anche di quello politico-amministrativo, cercando di influenzare l’operato dell’amministrazione comunale.
Proprio come avevamo scritto nei giorni scorsi (QUI LA NOTIZIA) ad irritare particolarmente uno degli elementi di vertice dei clan di Bagnara Calabra, Rosario De Giovanni, finito in carcere, è stata la nomina come capo della Polizia Municipale di Bagnara di Rosario Bambara. Contro quest’ultimo, infatti, si sono concentrate le ingerenze e gli atti violenti. Come quando l’8 agosto del 2017 l’altro elemento di vertice del clan, Fortunato Praticò, spara ripetutamente con una Browning 6.35 diversi colpi di pistola contro l’abitazione di Bambara.
Il più agguerrito, però, è “Melu u Bastuni” perché, come è riportato fra le carte firmate dal gip, il modus operandi di Bambara e suoi controlli «sempre più stringenti che lo stesso Bambara avrebbe svolto nei confronti dei venditori ambulanti presenti nel territorio di Bagnara Calabra» erano una vera e propria minaccia per De Giovanni e il controllo del territorio. A scatenare definitivamente la sua ira è stato un episodio in particolare. È il 14 giugno 2018 quando i Carabinieri mettono i sigilli alla sala ricevimenti “Il Gabbiano Bianco”, attività commerciale che per gli inquirenti e i militari era sostanzialmente gestita da “Melu u Bastuni” e, per questo, sopraffatto dalla rabbia.
E così, il 21 giugno 2018, poco dopo una settimana dal sequestro, De Giovanni inveisce contro Bambara e lo minaccia di morte. Il tutto è stato ricostruito grazie alla denuncia presentata dallo stesso Comandante della Polizia Municipale di Bagnara. L’episodio sarebbe avvenuto – così come riportato nell’ordinanza firmata dal gip – lungo il Corso Vittorio Emanuele II, mentre Bambara insieme a due operai era intento ad istallare «della segnaletica stradale. Intorno alle 10.40 si avvicina “Melu u Bastuni” e si rivolgeva a me mentre io facevo finta di nulla (…) lui diceva testualmente “se sacciu ca fusti tu!”, attirando a quel punto la mia attenzione». «Se sacciu ca fusti tu a farmi fare il sequestro al ristorante a Marinella ti scippo a testa a tia, a to mugghieri e a i to figghi». Rosario Bambara, quindi, spiega ancora ai Carabinieri che De Giovanni si è spostato di pochi metri per non farsi vedere dagli operai e, con sguardo rabbioso e gesticolando in modo aggressivo, gli avrebbe rivolto una gravissima minaccia di morte e «ho capito che il soggetto faceva riferimento al sequestro che avete fatto voi».
Nella denuncia di Bambara ai Carabinieri, lo stesso comandante descrive gli episodi passati e un altro episodio in cui De Giovanni “Melu u Bastuni” lo aveva minacciato. In particolare, in occasione di un controllo sul tetto di un’abitazione riconducibile al fratello del boss, Orlando De Giovanni. All’epoca dei fatti Bambara era una semplice agente della Polizia Municipale. «(…) eravamo andati a fare un accertamento alla Marinella sul tetto di una casa, nei pressi dei vigili del fuoco (…) non riuscendo a trovare questo Orlando, lasciavamo detto ai familiari di contattarci». Una volta tornati al comando, però, racconta ancora Bambara «abbiamo trovato ad aspettarci “Melu u Bastuni” che ci minacciava perché aveva saputo che ero io a voler fare quell’accertamento».
Per gli inquirenti, poi, sarebbe poco limpido anche il rapporto tra “Melu u Bastuni” e Giuseppe Marino, responsabile dell’Ufficio tecnico di Bagnara Calabra (non indagato in questo procedimento), così come riportato nell’ordinanza del gip. C’è un episodio in particolare, registrato il 3 ottobre 2018, quando cioè De Giovanni, mentre era in compagnia dello stesso Marino, contatta un altro soggetto per esortarlo a «recarsi al Comune il giorno dopo per parlare con il geometra Callia» impiegato all’UOC 4 Edilizia e Territorio. Prima del chiudere la telefonata, Marino rassicura l’interlocutore sul fatto che, in caso di bisogno, avrebbe rilasciato lui stesso le autorizzazioni necessarie. «(…) vediamo di parlare con lui, vediamo quello che c’è da fare, e se bisogna autorizzare (…) eh autorizzo io, non ci sono problemi». Per gli inquirenti non ci sono dubbi sul fatto che si riferissero ai lavori da eseguire al “Gabbiano Bianco”, l’attività commerciale sequestrata dai carabinieri. Già perché oltre al periodo coincidono anche i protagonisti coinvolti insieme ai militari nel sequestro ovvero Callia e Marino «ai quali – scrive il gip – era sta chiesta preventivamente la disponibilità ad effettuare il sopralluogo senza l’indicazione dell’obiettivo». (redazione@corrierecal.it)
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