Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviata alla redazione del nostro giornale dal collaboratore di giustizia Gennaro Pulice. La lettera, unica nel suo genere, proviene da un collaboratore dal vissuto non comune. Ha maneggiato armi fin da ragazzino. A 15 anni suo nonno gli ha fatto imbracciare un fucile a canne mozze per vendicare la morte del padre. È cresciuto all’ombra della cosca Cannizzaro, nel quartiere Sambiase di Lamezia Terme. È diventato il killer della famiglia di ’ndrangheta. Ha ucciso innocenti che il clan voleva fare sparire, come il fotografo e carabiniere in congedo Gennaro Ventura. A 18 anni ha freddato il quasi coetaneo 19enne Antonello Dattilo. Mentre eseguiva gli ordini dei Cannizzaro ha frequentato il liceo. Ha conosciuto il carcere fin da giovane. Si è laureato in giurisprudenza e scienze giuridiche. In Svizzera, dove per un periodo ha trasferito i propri affari, lo chiamano il “killer con la toga”. Ha un eloquio fluente e forbito che ancora molti dei presenti al maxi processo Rinascita-Scott ricordano. Belfiore, Dattilo, Ventura, Torcasio, Passafaro… sono tanti i delitti dei quali si è autoaccusato. E ha puntato il dito anche su omicidi e affari sporchi compiuti non per mano sua. A maggio 2015 è stato arrestato nella maxi retata “Andromeda” contro la consorteria Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. Dopo poche settimane collaborava con la Dda di Catanzaro. Da allora si sono susseguiti processi, condanne, testimonianze. Adesso che Pulice ha chiuso il cerchio sui procedimenti che lo riguardano personalmente, ha deciso di scrivere alla gente della sua città.
Alla città di Lamezia Terme
Sovente poggio la penna su questo foglio, abbracciando la Città, un perorato richiamo alla necessità di riparare al male fatto, ma nei momenti di lucidità, e quando la mestizia mi congeda, il dramma viene fuori e la pavida percezione d’essere inopportuno paluda ogni iniziativa.
Ciò che sono stato è noto, la laidezza che mi ha caratterizzato è minuziosamente descritta in una pletora di sentenze e non solo, una scelta di vita polarizzata all’odio, alla vendetta, alla ‘ndrangheta.
In questi anni trascorsi in questo luogo di pena, ho capito che le vittime, tutte, non possono riabilitare il carnefice, pertanto non possono perdonare per il male ricevuto, ma auspico e spero che vogliano almeno leggere queste parole.
Lamezia Terme e i suoi Abitanti fanno parte degli affetti cari della mia mente e del mio cuore, tutto ciò che mi circonda me li ricorda; l’infanzia tra le vie della città, l’adolescenza tra i banchi del liceo, il paesaggio, l’odore del mare. Le circostanze che mi hanno portato alla collaborazione sono molteplici, eterogenee ma non convergenti; tra queste v’è senza dubbio l’aver vissuto proprio la mia adolescenza, anche con ragazzi diversi da me, che, inconsapevoli, hanno piantato nel mio io più profondo il seme della civile convivenza democratica.
Il terreno era ostico, ma quel seme non è morto anzi a distanza di tanti anni è germogliato infondendomi il desiderio di cambiamento e abnegazione. Oggigiorno ho contezza che il mio io deviato non ha distrutto solo delle famiglie, ma un’intera popolazione, persone ree solo d’aver in comune i natali, con un essere come me; ciò mi annichilisce e l’angustia di non fare abbastanza, per riparare al male fatto, quotidianamente m’accompagna.
Sommessamente e accorato mi permetto di rivolgermi a Voi, in toto, con il fine deliberato ed incondizionato di ringraziarVi per tutto quello che avete fatto per me. Perdonatemi per non avere ascoltato le Vostre parole, per non avere accettato la Vostra mano, il Vostro incoraggiamento, il Vostro amore, perdonatemi per tutto il male che riversato sulla Città.
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