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‘Ndrangheta in Emilia, insulti al pentito in aula («finocchio»). L’avvocato: «Ho sognato come si chiama oggi…»

Udienze infuocate al processo Grimilde per le dichiarazioni di Valerio. Che ora ha paura. «È chiaro i messaggi che mi state mandando»

Pubblicato il: 24/09/2022 – 9:25
‘Ndrangheta in Emilia, insulti al pentito in aula («finocchio»). L’avvocato: «Ho sognato come si chiama oggi…»

REGGIO EMILIA Due udienze infuocate. Tra nuove rivelazioni sulle basi strategiche della ‘ndrangheta a Reggio Emilia, insulti, frasi intimidatorie e, addirittura, il rischio che la nuova identità di un pentito sia in pericolo. Il processo Grimilde, in corso a Reggio Emilia, prova a scrivere la storia dell’ascesa dei clan crotonesi in Emilia Romagna. Racconta faide, tentativi di truffa, contatti istituzionali dell’epoca in cui i Grande Aracri presero il controllo a Cutro e al Nord uccidendo Antonio Dragone e i suoi uomini. A quei tempi, riferisce il collaboratore di giustizia Antonio Valerio, veniva utilizzata come base logistica della ‘ndrangheta anche la Reggia di Rivalta. Le sue stanze vuote – in quegli anni l’edificio storico pensato per diventare una sorta di Versailles emiliano era abbandonato – erano l’ideale per pianificare gli omicidi che chiusero la stagione di guerra iniziata nel 1992. Basterebbe soltanto questo per un titolo a nove colonne.
Nella seconda udienza, il cui contenuto è apparso nei giorni scorsi sul Fatto Quotidiano, si registra una quasi rissa tra Valerio e Antonio Piccolo, difensore di alcuni imputati.

L’avvocato al pentito: «Finocchio»

Lo scontro avviene durante la discussione in aula del cosiddetto “Affare Oppido”, truffa concepita per rubare allo Stato oltre 2 milioni e 200mila euro, attraverso una falsa sentenza apparentemente emessa dalla Corte d’Appello di Napoli. Nella vicenda sono coinvolti uomini importanti della cosca: da Nicolino Sarcone a Nicolino Grande Aracri, da Alfonso Diletto a Romolo Villirillo, dallo stesso Antonio Valerio a Michele Bolognino.
Il Fatto Quotidiano riporta i virgolettati delle frasi più pesanti dello scambio tra Valerio e Piccolo. Eccoli.
Valerio: «Facciamo una cosa, parliamo uno scemo alla volta, sennò ca’ u ne capiscimu!». Avvocato Piccolo: «Lei ha ucciso delle persone, non le ho uccise io. Lei è un omicida». Valerio: «Le sto pagando. Lei è stato in galera uguale a me, che siamo ex colleghi. Non che io sia un avvocato…». Avvocato Piccolo: «Ma sei un finocchio, sei». Valerio (rivolto a un imputato): «Cambia avvocato che ti conviene». Avvocato Piccolo: «Pezzo di caramella, che vuoi?».

«Non sappiamo come si chiama oggi. Io però penso di saperlo…»

Il presidente del collegio, giudice Donatella Bove, interviene più volte minacciando di sospendere l’udienza e sottolineando ciò che è evidente: «Sta veramente degenerando la situazione: silenzio ad entrambi». È soltanto il preludio al peggio.
L’avvocato Piccolo rivolge a Valerio domande inerenti la sua condizione di collaboratore di giustizia: «Senta, lei è pagato dallo Stato? Quanto prende?».
Valerio: «Sì, 328 euro». Avvocato Piccolo: «Senta, lei oggi come si chiama? Ha cambiato cognome?».
«C’è un programma di protezione, è un collaboratore. La domanda non è ammessa», ribatte il presidente del collegio. Ma l’avvocato aggiunge una frase che aggrava la situazione: «Non sappiamo come si chiama oggi (Valerio). Io penso però di saperlo…». L’identità di Valerio nella vita privata è, ovviamente, segreta per tutelare la sicurezza sua e dei suoi familiari. La pm Ronchi prende la parola: «Cosa significa che pensa di saperlo? Perché io non lo so!».
Interviene la giudice Bove: «Lei ha detto: penso di saperlo. Perché?». L’avvocato risponde: «No, nella mia idea… io immagino, immagino, immagino. Ho fatto un sogno e mi sono dato una… (risposta)». Al che Valerio commenta: «Minchia, che sicurezza che abbiamo qua! Allora, io sono terrorizzato. Mi viene la pelle d’oca, perché è chiaro i messaggi che mi state mandando. Benissimo, ottimo. Penso a mia figlia minorenne, e sono terrorizzato».

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