Saman tenuta ferma dai cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, così da permettere allo zio Danish Hasnain di strangolarla con una corda. La madre, Nazia Shaheen, in preda a una crisi di pianto, allontanata dal marito, Shabbar Abbas.
Il contributo di un uomo misterioso che avrebbe aiutato a finirla, infilare il corpo in un sacco, caricarlo su una bici e poi, dopo averlo fatto a pezzi, gettarlo nel Po. Sarebbero le fasi del delitto raccontate da uno degli indagati, Ijaz, a un altro detenuto, che a sua volta lo ha riferito alla polizia penitenziaria. Dichiarazioni che per i carabinieri di Reggio Emilia sono credibili solo in parte.
Poco più di un mese dopo la scomparsa di Saman Abbas, il padre confessò il delitto durante una telefonata a un parente in Italia. «Ho ucciso mia figlia», diceva Shabbar Abbas l’8 giugno 2021, quando ormai era fuggito in Pakistan.
La conversazione è agli atti del processo che inizierà a febbraio a carico dei familiari della diciottenne sparita dalla notte del 30 aprile 2021 da Novellara e che gli inquirenti, Procura e carabinieri di Reggio Emilia, sono sicuri sia stata assassinata, perché rifiutava di sposare un cugino in patria e voleva andarsene di casa.
La foto di un bacio, per le vie di Bologna. Il momento di intimità tra Saman Abbas e il suo fidanzato, da lei postato sui social tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, secondo quanto accertato dalle indagini, fu una delle scintille che alimentò la rabbia dei familiari della giovane pachistana. Lo scatto risale al periodo in cui la ragazza viveva in una comunità protetta. Un cugino, sentito dai carabinieri di Reggio Emilia, ha riferito di aver ricevuto l’immagine e che il padre Shabbar, la madre Nazia e il fratello della diciottenne «si lamentavano in continuazione di tale situazione».
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