LAMEZIA TERME Lo scrittore Giuseppe Genna ha scritto di recente, con una metafora evangelica, che «il mondo non intende più essere rappresentato» e «volta le spalle non a Cristo, bensì a Pilato: il popolo, disinteressato, non risponderà più alla domanda fatale del legato romano, Barabba non potrà essere liberato per acclamazione perché non c’è più acclamazione». Fuori di metafora: i numeri del (non) voto – in Calabria ancor più che nel resto del Paese – mostrano che la domanda politica non interessa più. Il tentativo di persuasione (attraverso slogan più o meno già ascoltati, appelli social o porta a porta) non persuade. Le promesse non nutrono neppure più l’attesa. È frattura tra il potere e la gente con il vuoto in mezzo a farla da padrone. Nel mezzo di una guerra, con una pandemia alle spalle e ombre che si addensano sul futuro, sono rimasti a casa 50 calabresi su 100: un’enormità, in aumento rispetto al 2018, quando votò il 63% degli aventi diritto.
Sarà disinteresse o disillusione, sarà il qualunquismo che attecchisce e travolge. Sarà che il messaggio non arriva e la politica si è chiusa nelle Ztl. Perché anche gli avamposti di resistenza (ma vedremo che sarebbe meglio usare un altro termine, almeno nel deserto calabro) rifuggono le urne.
L’Italia vuota che Marco Damilano cita per raccontare il vuoto della politica ha una dimensione più profonda in Calabria. Non a caso l’ex direttore de L’Espresso ricorre a Vito Teti, autore (e antropologo) calabrese della “restanza” per raccontarla. Il docente dell’Unical parla di «nuova geografia del dolore e della solitudine, perché non si assiste alla fine di questo o di quel paese, di economie, di culture, di sistemi economici, di microcosmi che hanno tracciato il periplo socio-culturale e la storia del Mediterraneo». Al vuoto si reagisce, anche in Calabria, con movimenti diffusi, con le comunità che reagiscono senza aspettare indicazioni o richiami dal centro. Senza riconoscersi in un potere che non c’è. Senza neppure dialogare con la politica. Nel vuoto i cittadini che restano si auto organizzano, fanno rete tra loro, ma non votano.
Nei sondaggi, anche in quelli “impazziti” degli ultimi giorni – che hanno fatto sudare le segreterie di partiti e movimenti – soltanto un numero è rimasto praticamente costante: si avvicina al 40 per cento e rappresenta la quota di chi dichiara di volersi astenere o non partecipare al voto. È il primo partito italiano, da tempo domina la scena nella periferia calabrese: scontenti, disillusi, rassegnati e non-rappresentati vincono nonostante gli appelli al voto utile (a chi?). È un deserto che avanza e che la politica dovrà imparare ad attraversare, ammesso che ne abbia voglia. (ppp)
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