LAMEZIA TERME Lo “stato maggiore” del partito non parla, per il momento. Parlerà (probabilmente) domani, quando i dati elettorali, soprattutto quelli della Camera, e gli intrecci del riparto nella quota proporzionale si saranno ormai consolidati e quindi si avrà un quadro più completo della situazione. Ma è un silenzio che dice tanto e fa anche un po’ di rumore, quello del Pd calabrese, che in queste ore in realtà si lecca le ferite aperte da un voto che è stato parecchio deludente.
Nella nostra regione i democrat si sono attestati sopra il 14%, cinque punti percentuali in meno rispetto al dato nazionale che a sua volta è stato nel complesso negativo, tanto da aver terremotato già il Nazareno con l’addio anticipato del segretario Enrico Letta. in Calabria forse è andata anche peggio, al Pd, che si riscopre addirittura il quarto partito, dietro – andando a salire – Forza Italia, Fratelli d’Italia e il primo, il Movimento 5 Stelle, l’ex alleato che ha praticamente raddoppiato i democrat. Ed è proprio questo il capitolo probabilmente più doloroso della riflessione che i “colonnelli” del partito calabrese stanno elaborando in queste ore: la sensazione di essere stati ormai oscurati a sinistra dai pentastellati con quel linguaggio diretto che funziona – “o sì o no” – e che il Pd non sa più parlare. Si dice che una fetta consistente della Cgil, anche in Calabria, abbia voltato le spalle al Pd per abbracciare il M5S proprio perché M5S è stato abilmente posizionato da Giuseppe Conte nel campo che una volta era quello naturale per i democrat. Sul piano numerico, il Pd ripete il risultato delle Politiche del 2018, quando espresse tre parlamentari: il capolista alla Camera Nico Stumpo (peraltro in quota Articolo 1…) e quello al Senato, il segretario regionale Nicola Irto, veleggiano verso il Parlamento, e a loro, per una concatenazione di fattori, si è aggiunta anche una terza eletta, segnatamente la parlamentare uscente Enza Bruno Bossio. Ma la sostanza, sul piano dell’analisi, cambia poco, per non dire che non cambia affatto.
E la sostanza dice che nel Pd calabrese c’è parecchia delusione per queste elezioni. E dice che da cinque anni a questa parte il Pd, sul piano elettorale, è sempre quello: il 14% o su per giù di lì. Un partito fermo in un eterno stop immagine: non va indietro ma non va nemmeno avanti. Una palude, in pratica. Nessuna differenza in termini percentuali dal 2018 a oggi, per il Pd, che lo guidi un commissario o un segretario conta poco. C’è una Calabria – come un’Italia, per la verità – che il Pd non sa più interpretare e rappresentare. Il voto delle Politiche testimonia questo, e risente ovviamente delle sballate scelte strategiche del Nazareno sul piano delle alleanze. Il risultato è un partito che praticamente non tocca palla nei collegi uninominali, finendo puntualmente terzo dietro il centrodestra e dietro il Movimento 5 Stelle anche schierando i suoi quadri dirigenti come la presidente regionale Giusi Iemma (nel collegio Catanzaro-provincia della Camera) o il segretario provinciale di Cosenza Vittorio Pecoraro (nel collegio camerale di Cosenza e Tirreno). Le avvisaglie di un affanno c’erano tutte, per la verità, e del resto si sapeva che la rigenerazione avviata dal segretario del post commissariamento Irto ovviamente avrebbe richiesto molto tempo. Ma questo processo non è stato sicuramente aiutato dalle scelte del partito nazionale, che in Calabria è rimasto a metà del guado tra un rinnovamento molto timido e il mantenimento di uno status quo frutto dell’eterna balcanizzazione correntizia. Nella pancia del Pd calabro molti mugugni rispetto alle scelte delle candidature, in particolare quella di Stumpo, ex Pd dei tempi bersaniani ora di ritorno sotto il tetto democrat. E certo la rigenerazione tanto attesa non sarà agevolata dal nuovo “tourbillon” che frullerà il partito nazionale, che già da oggi ha infilato una stagione congressuale che stresserà gli equilibri interni del Pd. Inoltre, Letta si è già messo da parte e tutto questo potrebbe avere ripercussioni anche sui territori come la Calabria, se solo si pensa allo stesso Irto, ritenuto un lettiano di ferro. E per questo tanti analisti preconizzano già da adesso un’altra fase tumultuosa per i democrat. I soliti facili profeti… (a. cant.)
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