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«Impressioni di settembre»

Non c’è chi commenti che non era un risultato largamente annunciato e previsto, quello uscito dalle urne dopo il voto del 25 settembre. E mentre a destra si festeggia chi un po’ di più – Meloni e …

Pubblicato il: 26/09/2022 – 19:00
di Massimo Veltri
«Impressioni di settembre»

Non c’è chi commenti che non era un risultato largamente annunciato e previsto, quello uscito dalle urne dopo il voto del 25 settembre. E mentre a destra si festeggia chi un po’ di più – Meloni e Orban – chi un po’ di meno – Salvini e Berlusconi –, a sinistra il gioco preferito è il tiro al piccione. Che ha due bersagli: di chi è la colpa; il fuoco amico.
Il fuoco amico è quello di Calenda e Renzi; la colpa è di Letta. Sono vere tutte e due le cose: la seconda perché Letta non ha voluto allearsi con Conte, la prima perché Azione (il partito, chiamiamolo così) di Calenda e Renzi ha voluto correre da solo.
Se fosse così semplice avremmo detto tutto e ci fermeremmo qui, magari concludendo con uno: Spazio ai nuovi, si cambia.
E, forse, proprio partendo dai nuovi può avere inizio una traccia di ragionamento un po’ più articolato e approfondito.
Letta doveva per forza rompere con Conte? Conte aveva fatto cadere Draghi e il suo governo, un governo con cui il Pd di Letta si era totalmente e acriticamente con-fuso non intravvedendo in un orizzonte ravvicinato sbocchi politici alternativi praticabili.
È da tempo che il Pd si caratterizza nei fatti come partito della responsabilità nazionale, dai valori democratici, europei, atlantici, è partito ed è ripartito con congressi ogni volta ‘fondativi’ almeno cinque volte per riscoprire di esser tornato puntualmente al punto di partenza. L’aver fatto cadere questo governo ha costituito un vulnus quasi etico, addirittura identitario, insanabile. Così che, a un governo tecnico, con molti numeri e cifre su cui discutere ma poca anima e pochi ideali (o ideologie) da mettere sul tappeto è stato facile obiettare con l’altro gioco preferito dagli italiani: quello di penalizzare gli uscenti.
Penalizzarli facendo prevalere l’unica forza politica che ha fatto opposizione e con un pedigree di valori carico di ideologia, una ideologia che il popolo italiano dovrebbe conoscere e rispetto alla quale, in opposizione a essa, è nata la repubblica italiana. E poco contano gli elogi di Orban, i populisti di tutta Europa che osannano e festeggiano: il popolo sovrano ha sempre e comunque ragione, mentre – è del tutto evidente – ha torto chi non sa mettersi in sintonia con il comun sentire degli umori e le aspettative del paese, almeno questo, visto che non sa orientarlo o ci ha rinunciato.
A che cosa serve insistere sullo stesso tasto, ossessivamente, a farsi carico dei problemi degli italiani quando gli italiani i problemi li ravvisano in te, in quello che sei e in quello che non sei? Non sei, anche nel senso del messaggio che Calenda e Renzi hanno cercato di veicolare – per la verità con echi alquanto ridotti – volti a fornire un identikit meno indistinto, più caratterizzato, all’eternamente periclitante volto di un Pd indeciso fra massimalismo e riformismo, fra nostalgia e futuro. Letta un po’ ha tentato, poi ha fatto marcia indietro, quindi cercato di metterci una toppa ma la tempistica ha contato così come un deficit di autorevolezza nonché le troppe macerie accumulate, così che il Pd è più che mai una Cosa che tutto vorrebbe com-prendere e nulla stringe.
Tanti errori, troppi ritardi che si sono riverberati sui territori con scelte infelici, riproposizioni frustre, paracaduti improvvisati di un partito che non c’è. Ora l’abbandono di Letta, un altro congresso, un altro partito alla ricerca di qualcosa che non c’è, perché il tempo dei grandi partiti di massa è finito, le masse stesse non ci sono più, e dislocarsi aldiqua o aldilà di questa o quella ideologia non ha senso visto che se di ideologie si deve parlare prima occorre reinventarle.
Restano gli uomini, gli uomini e le donne, la loro vita, di oggi e di domani, dominata dalle incertezze, dai problemi vecchi e nuovi, le paure reali, inedite.
Fornir loro uno skyline a medio raggio piuttosto che vagheggiare o inseguire orizzonti improbabili, e forse pure un poco fatui, potrebbe essere un salutare e pragmatico esercizio di scesa coi piedi per terra e conciliare i palazzi con il popolo.

*già parlamentare

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