TORINO Colpo dello Stato contro la ‘ndrangheta nel Torinese. Sgombero della famiglia e confisca dell’immobile in Piemonte a carico di Rocco Schirripa, detenuto in carcere, noto come il “padrino” della locale di Moncalieri, nel Torinese, arrestato nel 2015 e condannato all’ergastolo per l’omicidio del procuratore Bruno Caccia del 1983.
I magistrati torinesi lo indicano come vicino alla famiglia di Domenico Belfiore, già condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio del giudice nel 1992.
Per tutta la giornata a Torrazza Piemonte sono andate avanti le azioni di polizia, carabinieri, vigili del fuoco e polizia municipale per liberare l’edificio nel quale vivono i suoi familiari.
Le operazioni di sgombero, dopo anni di attesa dalla confisca, sono state disposte dal questore di Torino con ordinanza e condotte secondo quanto deciso durante il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Da trent’anni nella villa abitavano i familiari del killer, nonostante l’immobile fosse stato prima sequestrato nel 1994 e poi disposta la confisca quattro anni dopo.
La villa, dopo quella confisca, era stata anche assegnata al Comune del torinese nel 2019, ma la famiglia ha strenuamente difeso quel “baluardo” per lungo tempo. Una raffica di ricorsi infatti aveva bloccato l’iter. L’ultimo nel 2015 che portò al blocco dell’altro tentativo di sgombero della villa del boss. Ora finalmente quel provvedimento di confisca è stato eseguito con lo sgombero coatto dei familiari del killer del procuratore capo di Torino.
«Oggi lo Stato ha vinto e le mafie hanno perso. Da questo momento è necessario mettere in campo tutte le forze necessarie per arrivare, al più presto, alla destinazione sociale di questa struttura». Così Maria Josè Fava, referente di Libera Piemonte, a proposito dello sgombero di questa mattina dell’immobile appartenuto a Rocco Schirripa a Torrazza Piemonte.
«Sono passati anni dalla confisca definitiva, non possiamo perdere altro tempo. Ogni patrimonio mafioso è importante, ma non dobbiamo dimenticare che il proprietario di questa villa è stato riconosciuto colpevole per l’omicidio di Bruno Caccia, magistrato assassinato nel’83 a Torino dalla ‘Ndrangheta. Dobbiamo aprire le porte di questo luogo alla cittadinanza. Lo dobbiamo alla memoria di Bruno Caccia», commenta ancora Maria Josè Fava.
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