LAMEZIA TERME Episodi spiacevoli che si ripetono frequentemente e che ogni volta, come la prima, lasciano intendere che il cambiamento culturale auspicato è ancora molto lontano. Quanto meno a Lamezia Terme dove l’ennesima disavventura certifica quella che è una situazione tanto assurda quanto paradossale. L’ultimo e spiacevole episodio risale a domenica scorsa e ha riguardato una figura ormai nota da tempo in città, Nunzia Coppedè, presidente di Fish Calabria (Federazione Italiana per il superamento dell’handicap).
«Lei qui non può votare». Questo si è sentita dire dal presidente del seggio quando, domenica 25 settembre, in occasione delle elezioni politiche, si è recata come qualunque altro cittadino che ne ha diritto, alle urne per esprimere la propria preferenza. «Sono andata in un seggio che non era il mio – spiega Nunzia Coppedè ai microfoni del Corriere della Calabria – ma solo perché nel mio, quello che mi era stato assegnato, ci sono delle barriere architettoniche».
Una decisione che ha motivazioni ben fondante, un diritto garantito a tutte le persone con disabilità. Lo prevede, infatti, l’articolo 1 della legge del 15 gennaio 1991, n.15: per poter esercitare questa opzione, «gli elettori devono esibire, insieme al certificato elettorale, una attestazione medica rilasciata gratuitamente dall’autorità sanitaria locale, dalla quale risulti l’impossibilità o la capacità gravemente ridotta di deambulazione». Quei certificati esibiti da Nunzia Coppedè ma ritenuti “inutili” dal presidente del seggio. «Quello che doveva fare il presidente era – spiega – accogliermi e registrarmi su un registro a parte e, siccome lui diceva che io non ero nella sua lista, mi voleva proprio mandare via, addirittura mi ha ridato indietro i certificati perché lui non sapeva cosa farsene». Oltre il danno per Nunzia Coppedè la beffa. Già perché il presidente del seggio, oltre ad ignorare la normativa, non ha neanche ascoltato le spiegazioni. «Mi sono ritrovata con un presidente del seggio che non conosceva la legge, ma anche arrogante perché, nonostante gli si spiegava che la cosa era possibile, mi ha trattenuto lì per più di un’ora trattandomi davvero male, davanti ad un sacco di gente, perché io, secondo lui, non dovevo votare lì».
Una mancanza grave, una situazione di disagio per la presidente di Fish Calabria ma che, ancora una volta, accende i riflettori su una carenza culturale allarmante. «Io mi sono arrabbiata molto – ci spiega – per me ma anche per tutte le persone con disabilità che potevano arrivare dopo in quello stesso seggio e ritrovarsi così nella stessa situazione. Era un mio diritto, oltre che un mio dovere, poter votare perché c’è una legge che mi tutela e che dice cosa devono fare». Un caso limite, certo, ma che mostra tuttavia un quadro poco edificante. «Dietro a questi episodi c’è tanto. Le persone che ricoprono un certo ruolo devono anche conoscere le leggi, devono sapere come comportarsi. Per fortuna ero io, se c’era un’altra persona che non sapeva reagire se ne sarebbe andata e sarebbe stato un diritto leso». «Queste cose – riconosce con un po’ di amarezza Coppedè – non devono capitare e se capitano ancora tutt’oggi dopo che c’è una legge di oltre trent’anni, vuol dire che siamo ai livelli in cui bisogna ancora lavorare molto». (redazione@corrierecal.it)
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