COSENZA Giovanni Guarasci condannato a due e sei mesi ed una multa di 6.000 euro; Francesco Magurno 4 anni; Danilo Magurno 3 anni e 4 mesi. Nei confronti di questi ultimi due imputati è stata disposta anche l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni. Assolti Luisiano Castiglia, Ariosto Francesco Mantuano e William Sacco. Si conclude così il processo “Laqueo” scaturito dall’inchiesta antimafia della Dda di Catanzaro, su alcuni presunti casi di usura ed estorsione aggravati dal metodo mafioso. Il tribunale di Cosenza, ha pronunciato la sentenza al termine di una lunga istruttoria dibattimentale.
Nel corso dell’ultima udienza, il pm aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati. Erano stati chiesti 11 anni di reclusione per Luisiano Castiglia (difeso dagli avvocati Pasquale Marzocchi e Rossana Cribari), 4 anni per Giovanni Guarasci (difeso dall’avvocato Pasquale Vaccaro), 11 anni per Danilo Magurno (difeso dall’avvocato Renato Tocci), 13 anni per Francesco Magurno (difeso dall’avvocato Renato Tocci), 8 anni per Francesco Ariosto Mantuano (difeso dall’avvocato Amabile Cuscino), e 8 anni per William Sacco (difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Matteo Cristiani).
Nel corso del procedimento sono stati sentiti anche alcuni collaboratori di giustizia, come Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti, pezzi da novanta della mala bruzia. Lamanna ha raccontato della presenza di una bacinella dove finivano parte dei proventi della attività usuraie. Ogni gruppo criminale, in base al racconto reso dal pentito, versava una quota di soldi che poi sarebbero stati usati dai vari boss per le loro attività illegali. «Cosenza era divisa in aree e ognuno pagava il pizzo a gruppi criminali diversi». La voce di Luca Pellicori, collaboratore di giustizia ed ex braccio destro di Marco Perna. Dalla sua collaborazione con la giustizia è partita l’indagine della Dda di Catanzaro sull’estorsione e l’usura dei gruppi criminali cosentini denominata “Laqueo”. Roberto Violetta Calabrese ha risposto alle domande del pubblico ministero dal «sito riservato». Il collaboratore di giustizia lascia cadere indizi in merito all’esercizio dell’usura, la confluenza dei proventi nella bacinella, e poi le minacce e gli attentati.
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