VIBO VALENTIA Estorsioni, intimidazioni e interessi si sarebbero susseguiti anche dopo la maxi operazione “Rinascita-Scott” eseguita nel dicembre 2019 che aveva colpito duramente le cosche della ‘ndrangheta vibonese. È uno degli spaccati, tra i più significativi, emersi nella nuova indagine guidata dalla Dda di Catanzaro che, questa mattina, ha portato all’arresto di 5 persone, per un totale di 12 indagati.
Una continuità garantita sin da subito, quando cioè Michele Manco, uno degli indagati, aveva ripreso in mano le attività del gruppo criminale dopo l’annullamento dell’arresto su decisione del Riesame. Uno dei filoni di indagine, riportati nell’ordinanza firmata dal gip Maria Cristina Flesca riguarda le estorsioni eseguite da alcuni esponenti della cosca di ‘ndrangheta Pardea-Ranisi ai danni di imprenditori attivi nel settore della raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani di Vibo Valentia. È in questo contesto, infatti, che la criminalità organizzata sarebbe riuscita a mettere in atto una logica di spartizione proficua e in grado di incidere – scrive il gip – «sulle assunzioni, gli appalti e i vari servizi connessi».
A fornire i primi elementi significativi è stato il collaboratore di giustizia, Andrea Mantella. È lui ad illustrare quella che è la logica di spartizione messa in atto tra i diversi clan che di dividevano gli utili del settore dei rifiuti. «Fino al luglio del 2011 – spiega in un interrogatorio del 2016 – i gruppi interessati alla gestione dei rifiuti a Vibo Valentia erano tre: il mio, il gruppo di Pantaleone Mancuso “Scarpuni” e il gruppo di Rosario Fiarè per il tramite di Gregorio Gioffrè». «Quanto ai rifiuti posso dire che c’era un accordo tra noi e Luni Mancuso. La società incaricata della raccolta era di un Pellegrino, un siciliano, e noi mettevamo i mezzi (…) il patto era questo: se riuscivamo a tenere fuori le forze dell’ordine tutto andava liscio, altrimenti Pellegrino sapeva che doveva denunciare in Prefettura per infiltrazioni mafiose e lui ci disse che, se tutto fosse andato bene, ci avrebbe remunerati facendoci lavorare, anche con sovrafatturazioni le tangenti e assunzioni». Secondo quanto ricostruito e riportato nell’ordinanza firmata dal gip, l’accordo di spartizione tra i Mantella, i Fiarè e il gruppo di Luni Mancuso prevedeva che l’introito sarebbe dovuto essere incamerato attraverso bustarelle contenenti denaro, assunzione di persone contigue ai gruppi criminali e sovrapprezzi nella fornitura dei servizi come, ad esempio, i documenti che attestavano il noleggio dei mezzi riconducibili alle ‘ndrine coinvolte nell’affare.
Il collaboratore Mantella, poi, spiega agli inquirenti anche il ruolo di un imprenditore, Rocco Farfaglia, che il pentito riconosce vicino alla ‘ndrina Fiarè di San Gregorio d’Ippona, ma ai danni del quale aveva chiesto un’estorsione da 20mila euro (quattro tranche da 5mila) su alcuni lavori che l’imprenditore stava effettuando tra Vibo Valentia e Vena Superiore. «Farfaglia – spiega Mantella – ha pagato tramite l’intervento di Rosario Fiarè una tangente alla mia cosca, ai miei cugini Salvatore e Vincenzo Mantella. Per quanto ne so, Farfaglia era inizialmente una vittima di Fiarè, poi è diventato contiguo al suo gruppo al punto da fare da prestanome». Secondo il racconto di Mantella, l’estorsione risalirebbe al 2009. I soldi li avrebbe consegnati il figlio dell’imprenditore in una busta al ristorante “Il Saraceno” al porto di Vibo Marina. «Il padre gli aveva detto di consegnarli a me, io gli risposi che da quel momento poteva consegnarli ai miei cugini». (redazione@corrierecal.it)
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