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«Quel gran massone signorile, comunista e burbero»

Sarebbe stato assai contento di vedere in parlamento la sua nipote prediletta, Simona, anche se avrebbe mantenuto ferrea la sua identità di comunista. Ettore Loizzo, classe 1926,cosentino, ingegne…

Pubblicato il: 01/10/2022 – 9:44
di Mario Campanella
«Quel gran massone signorile, comunista e burbero»

Sarebbe stato assai contento di vedere in parlamento la sua nipote prediletta, Simona, anche se avrebbe mantenuto ferrea la sua identità di comunista. Ettore Loizzo, classe 1926,cosentino, ingegnere di alto livello, docente, comunista ortodosso e, soprattutto, Gran Maestro Aggiunto della Massoneria di Palazzo Giustiniani, quella più famosa e potente, negli anni ’80, è stato uno dei calabresi più influenti del novecento.

Un autodafé, naif, burbero, generoso fino all’estremo, amante fedele di quella massoneria da cui non trasse mai benefici, come un asceta che non osa togliere un centesimo da una borsa di un miliardo, ma che servi con servi con abnegazione fino alla sua morte. Era famoso in tutta Italia, Don Ettore, in quegli anni ferventi in cui le logge si dividevano, nascevano distorsioni come la P2(Gelli era un suo amico) e l’influenza sulla società era notevole.

Non avrebbe mai abbracciato l’idea fascista del collega aretino, lui che guardava al marxismo come unica e insostituibile fede. Consigliere comunale del PCI, come sinistra indipendente, dall’’80 all’85, a Cosenza, non partecipò alla riunione del civico consesso che doveva discutere della censura per l’appoggio di Giacomo Mancini a gruppi terroristici deciso dall’ordine degli avvocati. Perché anche lui subiva il fascino del leone socialista che votava puntualmente alle elezioni politiche. Quello stesso Mancini che, con coraggio e ardore, aveva fatto fare tre ore di anticamera al gran maestro Salvini anni prima, all’aria rossa a Malito.

Figlio di un ferroviere, lui e suo fratello Bruno (padre di Simona e il più famoso pediatra cosentino) si erano fatti da sé, anche grazie al talento di una madre americana. Nel 1985, quando il giovane collega di consiglio Sergio Aquino gli chiese di battezzare uno dei suoi gemelli, sfido’ Don Eugenio Romano, parroco misasiano di Santa Teresa, presentandosi come padrino ateo. Il suo ufficio in via Biscardi era il più frequentato della città. Avrebbe potuto lasciare ai figli, Gianni e Fiorella, tesori ma li educo’ semplicemente al sacrificio e alla professione.

Ogni qual volta scoprivo notizie sulla loggia e le pubblicavo mi chiamava esordendo bruscamente che non potevo capire niente, non essendo né massone, né comunista ma chiudeva con l’affettuoso invito al caffè. Mantenne un giovane bisognoso agli studi universitari nel silenzio di un sacrestano.

Amava il potere, Ettore, ma come diceva Fogazzaro, per non esercitarlo. Nella potente Cosenza di allora rivaleggiava con Tanino De Rose ed Ernesto d’Ippolito ma era lui quello che contava di più. Proprio Mancini mi disse di lui :”È la faccia pulita della Massoneria “. E fu il ministro dei lavori pubblici a volerlo nella progettazione della Salerno Reggio Calabria. Il suo archivio, pieno di appunti presi a matite, è un tesoro disvelato in mano ai figli. Il suo ricordo è nel pantheon della Calabria.

*giornalista

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