COSENZA È l’ex boss che voleva «sparare in bocca» al giornalista Giovanni Tizian, ha collezionato arresti e condanne (una a 26 anni nel processo “Black Money” , condotto dalla Dda emiliana e incentrato sul traffico di videopoker). Da quando si è pentito, Nicola Femia è una delle fonti attraverso le quali l’antimafia prova a ricostruire legami e addentellati della ‘ndrangheta nel “gaming”. Da ex ras del settore conosce più o meno tutti. Nell’inchiesta “Reset” i verbali di Femia riguardano le attività nel settore del gioco online gestite da quello che i magistrati definiscono il gruppo Chiaradia-Orlando. Il primo, Daniele, è un ingegnere informatico; il secondo, Silvio, un poliziotto finito nei guai per i propri presunti rapporti con esponenti della criminalità organizzata. Femia colloca la propria conoscenza con Chiaradia nel 2004 e parla di «intensi rapporti (…) quando Chiaradia lavorava per un noleggiatore cosentino». L’ex boss del gaming «ha rivelato di aver fornito a Daniele Chiaradia, nel triennio 2006-2008, vari tipi di slot machine e la cosiddetta doppia scheda, così consentendogli di amministrare il gioco senza il collegamento al provider nazionale» e ha spiegato che l’ingegnere, «fra il 2007 e il 2008, si era dedicato al gioco online, in particolare al “Poker Texano” (il cosiddetto Texas Hold’em), ovvero un sistema di gioco che si gestiva per il tramite di pc, collegandosi ad un sito internet, ovviamente illecito, chiamato “devidcasino.com” e svolto presso gli internet point o presso sale scommesse». Un’attività svolta da «esclusivista per Cosenza e provincia, in particolare per quanto concerne il territorio della Sibaritide».
L’esclusiva, secondo Femia, sarebbe legata al rapporto sentimentale di Chiaradia con la «figlia di uno dei Forastefano di Doria». I rapporti con il monopolista del Texas Hold’Em nel Cosentino si sarebbero allargati anche all’Emilia Romagna. Le confidenze tra i due avrebbero, invece, permesso all’ex boss di conoscere i contatti di Chiaradia a Cosenza. «Mi disse – spiega Femia in un interrogatorio che risale al marzo 2017 – di essere in società con uno della Questura di Cosenza, circostanza riferitami anche da altri. Dovrebbe trattarsi di un graduato ma non di un funzionario».
Per il pentito cosentino Silvio Gioia «Mario Gervasi e Daniele Chiaradia sono quelli di cui vi ho accennato ieri quali titolari della società che gestisce videogiochi e scommesse». È Gioia a confermare la presunta «esistenza di un rapporto tra Chiaradia e Mario “Renato” Piromallo», esponente di primo piano del “gruppo Porcaro”. «Gervasi e Chiaradia – dice in un verbale del luglio 2019 – avevano una società denominata Gechi Games e gestivano un sito, cosiddetto “punto com”, ubicato a Malta. Sono a conoscenza del fatto che il denaro necessario all’avvio della sopra citata attività era stato fornito da Mario Piromallo, che si affidava ai sopra citati Gervasi e Chiaradia per la sola gestione. In pratica essi fungevano da meri prestanome. Attraverso tale società Piromallo riciclava il denaro provento illecito della cosca di riferimento, ovvero la cosca Lanzino-Patitucci. Tali fatti sono collocabili al periodo antecedente all’anno 2011». La società, per Gioia, avrebbe piazzato «presso sale giochi ed esercizi commerciali anche le cosiddette slot machine, che venivano piazzate direttamente da Chiaradia e Gervasi. Di tale circostanza sono testimone diretto in quanto io stesso ho avuto un’agenzia di scommesse in via Padre Giglio presso la quale ho installato delle slot machine fornite dalla società Gechi Games». Ogni mese, Chiaradia si sarebbe occupato «di raccogliere il denaro incassato presso le agenzie di scommesse, pagare le provvigioni e, pagato il broker a Malta, i soldi venivano consegnati al Piromallo». Il collaboratore di giustizia aggiunge un elemento «per far comprendere l’ingente mole di denaro generata dall’affare che ruota intorno al gaming». «In una occasione – spiega – Chiaradia, mi aveva confidato che aveva assoluta necessità di reperire più possibili banconote da cinquecento euro, in quanto altrimenti gli sarebbe stato difficoltoso trasportare il denaro, ciò per dare il senso dell’enorme mole di denaro accumulata».
Nei racconti di Silvio Gioia compare anche il poliziotto finito nel mirino della Dda di Catanzaro. Silvio Orlando, spiega il pentito sempre nel luglio 2019, «era molto amico di Chiaradia e di Gervasi, tanto che questi ultimi gli avevano fornito il cosiddetto “punto com”, e inoltre sono a conoscenza del fatto che gli stessi avessero “affari in comune”. So che successivamente Orlando ha acquisito un’altra agenzia a insegna Eurobet nei pressi dell’autostazione (…)». Gioia dice, tuttavia, di non poter riferire di «contatti diretti» tra Orlando e Piromallo.
Gli inquirenti, da parte loro, ritengono che Chiaradia operasse «in qualità di prestanome di Mario Piromallo» e che siano «stati accertati incontri tra i dipendenti delle sale da gioco e delle agenzie di scommesse facenti capo a Orlando e Chiaradia e Roberto Porcaro». Peraltro, «molti dei soggetti che collaborano o lavorano alle dipendenze» dei due sarebbero «soggetti che orbitano e fanno parte notoriamente – per provenienza o attività svolte – dei locali gruppi criminali organizzati». Orlando, «in ragione del ruolo istituzionale ricoperto» cercherebbe «di assumere una posizione marginale» rispetto agli uomini legati al clan. Tuttavia, secondo gli investigatori, sarebbe «pienamente consapevole dell’imprescindibilità del loro apporto per la buona riuscita dei suoi affari illeciti». Per Chiaradia, invece, la richiesta vergata dai pm antimafia attinge (anche) dal processo “Black Money”, che ha svelato gli interessi della ‘ndrangheta nel settore del gaming in Emilia Romagna. I «rapporti con esponenti della famiglia Femia» hanno portato l’ingegnere cosentino nel cuore di quell’inchiesta e a una condanna a tre anni di reclusione.
Tra l’ingegnere e il poliziotto esisterebbe una «società di fatto» con compiti ben delineati. Orlando si occuperebbe «di ottenere licenze ed autorizzazioni funzionali all’esercizio del gaming, conferendo un’apparente veste di legalità alle loro attività». Chiaradia, da parte sua, farebbe «il lavoro sporco», cioè «intrattenere rapporti con esponenti della locale criminalità organizzata a cui deve essere comunque garantita una parte del guadagno e senza il cui benestare non sarebbe consentito loro di operare nel settore dei giochi e delle scommesse, ricorrere ad azioni punitive e ritorsive contro i trasgressori e, segnatamente, contro coloro che non rispettano le scadenze dei pagamenti e non onorano i debiti contratti». (p.petrasso@corrierecal.it)
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