CATANZARO Nonostante il balzo in avanti compiuto nel 2021 tutte le province calabresi non hanno recuperato il gap di ricchezza rispetto alla fase prepandemica. Anzi tre territori su cinque hanno registrato una flessione consistente del valore aggiunto prodotto. Si tratta del Reggino, del Cosentino e del Vibonese che hanno totalizzato perdite superiori all’1,2% rispetto al 2019. Mentre le altre due province – Crotone e Catanzaro – hanno chiuso l’anno segnando un calo del valore aggiunto inferiore a quella percentuale. Ma pur sempre lasciando sul terreno della crisi una fetta consistente della propria ricchezza. Dimostrando così come il solco tracciato dalla pandemia abbia lasciato delle tracce profonde nell’economia reale tutt’altro che colmate.
A certificare questo dato è il report “La nuova geografia produttiva nel biennio del Covid” stilato da Unioncamere e dal centro studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne”.
Ebbene se l’anno scorso si è registrata una decisa ripresa delle attività economiche in tutto il Paese, questa si è dimostrata ancora una volta sbilanciata a favore delle aree più ricche dell’Italia.
Se nel Centro-Nord si è chiuso con un valore aggiunto in crescita del 6,2%, nel Mezzogiorno quel dato positivo si è fermato al 5,9%. Un differenziale che è pesato nuovamente in termini di divaricazione della capacità di crescita tra le due zone dell’Italia. Caratterizzando ancora una volta un’area più reattiva e capace di riprendere la corsa e l’altra che, seppur in marcia, continua a non mantenere lo stesso passo.
Ed il territorio calabrese non ha fatto eccezione rispetto a questa regola dei due pesi e delle due misure. Anche tra varie aree della regione.
Scendendo nel dettaglio provinciale, infatti, questo andamento si traduce in un tasso di crescita diverso tra i vari territori calabresi. In particolare il Cosentino e il Catanzarese hanno registrato una crescita tra il 4,1 e il 5,5% nel confronto del biennio 2020-21. Si tratta del tasso più basso di crescita registrato in Italia. Un po’ meglio ha fatto l’area del Reggino in cui l’incremento del valore aggiunto è stato tra il 5,5 e il 6,2%. Mentre il Vibonese ha registrato una crescita stimata tra 6,2 e il 6,9% (dunque nella media o addirittura superiore a quanto successo in Italia).
In assoluto però è il Crotonese ad aggiudicarsi la performance più elevata di incremento di ricchezza prodotta: tra 6,9% e l’11,3%. Percentuali di crescita che però non sono serviti a colmare il divario nel confronto con la fase pre pandemica.
Valutando i dati della ricchezza assoluta distribuita sulla popolazione residente, il cosiddetto valore aggiunto pro-capite, emerge infatti che nel confronto con il periodo precedente allo tsunami economico scatenato dal diffondersi dell’epidemia da Coronavirus, soltanto il Crotonese non solo ha recuperato nel corso del 2021 i valori persi, ma è riuscito a scalare posizioni. A differenza del resto della regione che ha registrato importanti perdite. Ad andare peggio, il Cosentino che su base nazionale scala al penultimo posto in Italia per valore aggiunto pro-capite pari a 14.505,06 euro. Poco sopra alla provincia di Agrigento (ultima con 14.503,99). Perde due posti sulla classifica nazionale il Reggino per valore aggiunto prodotto rispetto a due anni addietro, così come un posto lo perde il Catanzarese che con 18.517,55 è ottantesima come livello di ricchezza pro-capite. Rispetto alla fase prepandemica, infine, il Vibonese è rimasto in una posizione stabile: segnale che in questa area la perdita subita dalle attività produttive a causa dell’emergenza sanitaria è stata recuperata nel corso del 2021.
Complessivamente, però, la regione resta all’ultimo posto in Italia per ricchezza. Nonostante appunto il rimbalzo positivo dello scorso anno. Indice il divario con il resto del Paese è rimasto completamente invariato.
Dal report “La nuova geografia produttiva nel biennio del Covid”, è possibile comprendere anche quali sono stati i settori che hanno maggiormente inciso per la Calabria a far recuperare terreno rispetto alla devastante crisi del 2020. Anno della pandemia.
Passando i rassegna i dati elaborati da Unioncamere e dal centro studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne”, emerge infatti che complessivamente la Calabria in un anno ha visto crescere il suo valore aggiunto del 5,53%. Meno del dato medio italiano fissato nel confronto del biennio 2020-2021 al 6,05%.
Ed a crescere maggiormente in questo lasso di tempo nella regione è stato il settore delle costruzioni. Il comparto – trascinato dagli effetti positivi dei bonus edilizi varati dai governi che si sono succeduti – ha infatti assestato in un anno la crescita di ben il 28,24%. Portando il valore aggiunto del settore nel 2021 ad oltre 1,5 miliardi di euro. Ossigeno puro per una filiera produttiva che da tempo in Calabria segnava il passo e che in questo modo a permesso all’intera economia calabrese di crescere ben oltre le previsioni iniziali.
Bene anche l’agricoltura che ha assestato un’impennata della ricchezza prodotta del 9,5% in un anno. In termini assoluti il settore primario ha chiuso lo scorso anno con 1,614 miliardi di euro il valore aggiunto della propria produzione. Così come il settore dell’industria in senso stretto che ha registrato un incremento di 8,6 punti percentuali nel confronto tra il 2020 ed il 2021.
Ma a crescere nel corso del biennio è stata anche la filiera dei servizi. Un comparto che in termini specifici vale gran parte del Pil regionale.
Dopo la crisi pandemica, nel 2021 il settore ha ottenuto una crescita di circa il 4 per cento.
Passando dai poco più dei 23 miliardi del 2020 ai 23,923 miliardi di valore aggiunto prodotto lo scorso anno.
Passi in avanti dunque, di tutti i comparti calabresi che però non riescono a tenere il passo dell’allungo compiuto nel corso del 2021, soprattutto dall’area del Nord. Segnando ancora una volta il divario di crescita tra le due aree del Paese.
Un nodo che dovrà essere sciolto utilizzando correttamente come da più parti sollecitano – per ultimo la Svimez – con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un obiettivo imposto da Bruxelles tra le condizioni per ottenere nuove trance di finanziamento del programma di Next generation Ue programmato dalla Commissione europea per una «ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa» che tradotto significa proprio quello di superare i divari territoriali. Un punto che non potrà per questo essere tralasciato dal nuovo esecutivo nazionale che si appresta a governare l’Italia nei prossimi anni. (r.desanto@corrierecal.it)
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