CROTONE «Ho creato un impero perché? Perché i “cristiani” mi hanno indirizzato di fare così». La frase, attribuita al capo del “locale” di Mesoraca Mario Donato Ferrazzo da uno dei suoi sodali, spiega quanto pesi per le cosche del Crotonese il monopolio nel settore del taglio boschivo e oltre. Perché quella filiera del legno evocata come immancabile (e abusatissimo) “volano di sviluppo” per le aree interne della Calabria si è trasformata, in vaste zone del territorio, in filiera criminale. Che copre tutto: dal taglio, appunto, al trasporto alle centrali a biomasse, nate (almeno quella di Cutro) secondo i pentiti grazie all’intercessione della potente cosca Grande Aracri. Catena che arriva fino agli incendi nei piazzali di quegli impianti, pensati per estendere il business alla gestione delle ceneri, in una pianificazione che diventa «impero» economico.
È Francesco Oliverio, ex capo del “locale” di Belvedere Spinello, oggi pentito, a delineare per primo dinamiche criminali e modalità di ingerenza della ‘ndrangheta nel settore boschivo. Settore lucroso al punto da esigere «la creazione di una figura di raccordo tra le varie consorterie criminali esistenti sul territorio, volta a favorire gli equilibri criminali». I boschi sono una fonte di denaro per i clan calabresi ma, per loro natura, si prestano a sconfinamenti e conflitti di competenza: meglio mettere ordine. Già nel 2014, Olivero racconta l’infiltrazione mafiosa «con particolare riferimento al circuito produttivo deputato all’accumulo della cosiddetta “biomassa” forestale (necessaria ad alimentare gli impianti di produzione a energia alternativa presenti sul territorio), ricostruendo una spregiudicata attività di deforestazione». Adolfo Foggetti, collaboratore di giustizia del Cosentino spiega, invece, «di avere partecipato, in qualità di rappresentante dell’organizzazione ‘ndranghetistica cosentina, a riunioni con esponenti di altre cosche operanti in tale settore da cui aveva avuto modo di apprendere come la ditta degli Spadafora fosse punto di riferimento delle cosche per ciò che concerne le utilizzazioni boschive e come, in tale ambito, fossero attivi anche i mesorachesi capeggiati da Mario Donato Ferrazzo». Il coinvolgimento del clan di Mesoraca e di Ferrazzo “Topolino” viene confermato da Giuseppe Liperoti. Il pentito riferisce che «uno degli affari più redditizi della cosca era proprio quello relativo alla gestione del patrimonio boschivo e ai conseguenti conferimenti alle centrali a biomassa».
Un verbale del 5 maggio 2017 Liperoti riferisce di «riunioni tra ‘ndranghetisti di Cutro e Mesoraca nel corso delle quali si decidevano spartizioni di proventi di natura estorsiva. In occasione di tali riunioni veniva conferito a Ferrazzo, l’onere di raccogliere i proventi estorsivi legati alle attività di trasporto del cippato». È in questo contesto che viene evidenziato lo stretto legame tra le imprese di Ferrazzo e quelle di Carmine Serravalle, «titolare – sono parole di Liperoti – anche di una segheria (…). In pratica i Ferrazzo fanno sì che con le imprese di cui vi ho appena detto si accaparrino tutto il legname necessario per la produzione di cippato da smaltire nelle centrali a biomasse del Crotonese, principalmente quella di Cutro, dapprima di proprietà del gruppo Marcegaglia. Il controllo di tale attività da parte dei mesorachesi è totale», specie dopo l’acquisto della centrale da parte della famiglia Serravalle.
È la filiera criminale del legno, nella quale la cosca pensa a tutto. Anche agli incendi. E in effetti Liperoti racconta come «la criminalità organizzata avesse appiccato incendi nei piazzali di alcune centrali» a biomasse. «Questi incendi pilotati e programmati – riassume il gip distrettuale –, da un lato avrebbero consentito di poter scaricare nuovo cippato per compensare quello andato bruciato, dall’altro si sarebbe potuto lucrare anche sullo smaltimento della cenere che gli incendi avrebbero prodotto, sempre mediante ditte controllate dalla ‘ndrangheta». Dal legno alla cenere, tutto gestito dalla ‘ndrangheta del Crotonese.
Salvatore Muto, collaboratore di giustizia un tempo operativo in Emilia Romagna, racconta in un verbale del marzo 2018 dei rapporti tra il boss Nicolino Grande Aracri e Mario Donato Ferrazzo, affermando che quest’ultimo sarebbe «stato scelto dal primo quale referente per il trasporto di cippato nella centrale a biomasse di Cutro». Grande Aracri avrebbe esercitato «ingerenze nell’affaire delle biomasse sin dalla creazione della centrale di Cutro, per la quale si adoperava anche nei confronti di pubblici amministratori al fine di far ottenere le relative autorizzazioni». Quell’intervento – scrivono gli inquirenti riassumendo le dichiarazioni di Muto – «veniva naturalmente retribuito dai vertici della centrale a biomassa mediante sovrafatturazioni a ditte di comodo imposte dalla cosca cutrese che, inoltre, pilotava assunzioni presso quello stabilimento». (p.petrasso@corrierecal.it)
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