COSENZA Mentre nella coalizione di centrodestra l’attenzione è rivolta al toto ministri, in attesa della nomina ufficiale a premier di Giorgia Meloni, il centrosinistra e soprattutto il Pd si interrogano sul loro futuro. I dem, dopo la debacle delle Politiche e l’addio annunciato del segretario Letta, sono ad un bivio: tentare un nuovo approccio con il M5s o continuare da soli in una rivoluzione che porterebbe ad un “new deal”. Nel mezzo, il terzo polo di Calenda e Renzi che ammicca al governo di Fdi e sollecita i democrat ad una scelta o «con noi, o con i Cinquestelle». Il risultato delle urne, a distanza di una settimana, fa ancora discutere e segna in maniera decisiva le sorti di partiti e movimenti. A Cosenza, l’analisi del voto a cura del prof. Gianluca Passarelli (docente di Scienza Politiche all’Università La Sapienza di Roma) ha offerto interessanti spunti di riflessione. L’appuntamento nella Camera del lavoro di Cosenza è stato fortemente voluta dal movimento “Controcorrente” che fa capo ad Antonio Tursi.
«Gli elettori, da molto tempo ormai, tendono a cambiare in misura significativa il comportamento di voto. Due le ragioni: la prima è la condizione di un Paese, l’Italia, molto stanco e affaticato dalla crisi, dalla pandemia, dalla guerra e della sfiducia nei confronti della politica. Il secondo elemento è legato all’indebolimento delle appartenenze politiche», sostiene il prof. Passarelli. Che aggiunge: «Le forti appartenenze politiche, spingevano gli elettori a confermare il proprio voto nei vari appuntamenti elettorali, in questa fase si guarda molto di più al candidato, alla sua storia, alle competenze e questo genera anche dei cambiamenti nel consenso». Passarelli poi passa in rassegna l’esito elettorale di M5s e Pd, disinnescando la bomba del “voto di scambio” che in molti hanno (ri)lanciato in merito all’alta percentuale di votanti a Cinquestelle registrata nel Sud Italia e in Calabria. «Gli elettori non sono legati al reddito cittadinanza, l’analisi è un po’ più complessa. Sarebbe anche offensivo per quegli elettori pensare che si siano recati alle urne per completare una sorta di voto di scambio solo per la presenza del reddito di cittadinanza. E’ certamente un fattore, ma c’è anche un altro dato da non trascurare: una parte di elettori che votava centro sinistra e Pd, ha scelto di affidare il consenso al Movimento 5 Stelle». Per quanto attiene il Partito democratico, l’esito fiacco alle Politiche è frutto sicuramente dello scarso appeal del polo democrat che ha perso 5 milioni di elettori rispetto al passato, diminuendo di molto la percentuale di voto legata alle classi meno agiate, «E’ un dato abbastanza storicizzato – dice Passarelli – dagli anni 70′-80′ gli operai perdono la loro unicità nel comportamento di voto a sinistra e sono stati tentati da Silvio Berlusconi prima e da Democrazia Cristiana e Lega poi. E’ evidente questo scollamento con buona parte degli elettori, in qualche misura dovrà essere recuperato se il Partito Democratico intende rimanere un partito nazionale».
Il Pd è come disse D’Alema «una amalgama mal riuscita». Il legame sentimentale con la sua gente è ai minimi storici. I dem pagano l’abbandono delle grande industrie, dei luoghi simbolici dove sono stati letteralmente asfaltati da Fdi. Un partito che perde da 16 anni le elezioni, ma governa da 11, entrando in tutte le combinazioni di maggioranza possibili ma sempre più lontano dalla sua identità, ormai smarrita. Le tante correnti presenti nel Pd richiamano all’unione, ma spesso sono state portatrici di laceranti divisioni. Ed allora, appare ovvia e scontata una totale rifondazione, forse prediligendo un “fine vita” per dare un deciso slancio ad un nuovo apparato. Ne è convinto, Antonio Tursi, candidato alla guida del Pd di Cosenza e leader di “Controcorrente“, da sempre in aperto contrasto con l’agire dem. «Il Pd – dice al Corriere della Calabria – dovrebbe riflettere sul risultato ottenuto ed è giusto che questa analisi la faccia una classe dirigente diversa da quella che fino ad oggi ha condotto il partito». «Il dibattito scaturito dopo le elezioni – aggiunge – è governato dagli stessi dirigenti che hanno portato a questo infausto esito». Tursi poi chiosa pensando al futuro. «Riflettiamo sulla nostra identità, sul gruppo dirigente e sulla proposta che possiamo fare all’Italia perché abbiamo bisogno di ritrovare una bandiera sotto cui riunire un popolo, quello che oggi non abbiamo più».
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