LAMEZIA TERME Una parte fisica realizzata in ceramica, una parte di animazione realizzata con un modello 3D. Un gioiello che è la reinterpretazione del Diadema, quello storico appartenente al Tesoro di Terina, realizzato attraverso gli occhi di un artista contemporaneo.
Una fusione, dunque, o meglio una contaminazione tra arte contemporanea e storia, su un livello comunicativo nuovo e innovativo, ma che rappresenta una metabolizzazione di significati intensi, sia archeologici e storici. Questo il filo conduttore dell’istallazione permanente al museo archeologico lametino dell’artista Claudia Giannuli, presentata a Lamezia Terme nel corso dell’evento “Tutte le cose si compiono” al Chiostro caffè letterario, alla presenza dell’assessore alla Cultura, Giorgia Gargano, i docenti dell’Accademia delle Belle Arti di Catanzaro, Simona Caramia e Francesco Cuteri, e ovviamente l’artista.
«È un’installazione site-specific dell’artista pugliese Claudia Giannuli nasce nel 2020 e arriva poi a compimento alla fine del 2021, un anno intero di lavoro perché l’installazione è un’opera molto complessa – spiega al Corriere della Calabria Simona Caramia – perché ha una parte fisica realizzata in ceramica, che è il linguaggio tipico dell’artista, ma in più ha una sperimentazione perché è una parte di animazione realizzata con un modello 3D, quindi c’è voluto proprio molto tempo per realizzarlo». «Una parte della ricerca di Claudia si è consolidata attraverso questo lavoro, ovvero il volto della donna, il corpo della donna che torna ad essere protagonista in questo caso, però c’è una diciamo un level-up, una innovazione nella sua ricerca perché, nel momento in cui abbiamo vissuto la pandemia, ecco che è un po’ tutti quanti siamo stati costretti ad avere gli occhi chiusi, le orecchie chiuse, il mondo si è ridotto alla nostra quotidianità domestica e quindi vedrete che questa figura femminile ha gli occhi occlusi da un gioiello che è una reinterpretazione dello storico Diadema di Lamezia realizzata in ceramica e poi riproposto come modello in 3D che però è un gioiello punitivo che va ad occludere quel rapporto con il mondo, dunque le cavità degli occhi, che ci sono stati privati nel corso della pandemia». «L’idea è quella di continuare a riflettere sul gioiello punitivo non più come un gioiello ornamentale ma come qualcosa che, lungi dall’essere una decorazione, vuole essere una punizione per la donna o per l’uomo che lo indossa».
L’opera dell’artista, docente dell’accademia delle belle arti di Catanzaro, rappresenta il legame tra storia e presente, come uno sguardo diretto al futuro che già si sta materializzando proprio all’interno del museo lametino: «È un incontro – spiega il direttore dei Musei archeologici di Lamezia e Metauros, Simona Bruni – che suggella una serie di attività che hanno avuto inizio nel 2021 con l’edizione di Trame 11 e in cui il Museo Archeologico Lametino, di cui è competenza la direzione regionale musei Calabria, ha deciso di fare questi esperimenti di contaminazione di arte contemporanea, di istallazioni di arte contemporanee, all’interno del museo archeologico, sempre tenendo ben presente che il messaggio e comunque l’input di partenza è sempre una metabolizzazione di significati molto intensi, sia archeologici e storici, ma soprattutto della storia del territorio a cui il nostro museo si rivolge». «Oggi noi raccontiamo il catalogo del progetto dell’Accademia che ha visto un’installazione permanente, quindi noi abbiamo nelle sale e rimarrà nelle sale sia l’istallazione creativa di Claudia Giannuli, l’artista, ma anche di questo video emozionale, realizzato con tecnica e tecnologia completamente contemporanee per un avvicinamento sia alla comunicazione, ma sia anche alla visione della sfaccettatura contemporanea che ci riallaccia comunque a quelle che sono le fondamenta storiche». «È di fatto il Tesoro di Terina, attraverso gli occhi della Giannulli, il Diadema del tesoro di Terina, attraverso gli occhi di un artista contemporaneo».
L’opera, in contrapposizione agli occhi chiusi, apre nuovi orizzonti tra arte contemporanea in un contesto di arte antica come quella di un museo archeologico. Perché, spiega Francesco Cuteri al Corriere della Calabria, quella dell’Accademia «è una scelta netta di apertura ai territori, di dialogo con il territorio circostante e soprattutto con le sedi museali che forse necessitano di trovare altre forme di rilancio e, in un certo senso, anche di uscire da una sorta di competizione. Un aiuto importante a rendere questi musei tutti protagonisti e partecipi di una crescita culturale che interessa la regione sotto tutti i punti di vista che sono anche quelli dell’arte per l’arte contemporanea». Secondo Cuteri si può dunque ragionare seguendo tre punti di vista: «Immaginare che la struttura faccia da contenitore semplice per cui qualsiasi artista può esporre delle opere e di qualsiasi tipo. Poi considerare le caratteristiche del contenitore, qui ad esempio siamo all’interno di una struttura conventuale e quindi possiamo immaginare di operare delle scelte. Il terzo aspetto è quello Invece di guardare esattamente a quello che i musei che ospitano vanno ad esporre, quindi immaginare di poter utilizzare un altro tipo di linguaggio». «È un invito – spiega Cuteri – a sperimentare forme diverse all’interno della stessa arte contemporanea è un invito agli artisti a guardare con occhi diversi. All’interno dei musei è una sperimentazione che per molti può sembrare azzardata, anche un po’ dirompente, però in effetti c’è un’esigenza di cominciare a raccontare di questa nuova forma d’arte, dell’arte contemporanea, perché molte delle persone sono totalmente digiuna e quindi l’elemento archeologico può essere un elemento di attrazione, però è importante fornire gli elementi per acquisire la competenza a interpretare le opere e a capire come possono dialogare con il passato». (redazione@corrierecal.it)
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