LAMEZIA TERME Medico e massone, Marcello Fondacaro è stato, prima di pentirsi, vicino alle cosche di Gioia Tauro. La sua appartenenza alla loggia Giustinianea risale ai tempi dell’università. «Parliamo degli anni ‘85-’86», dice in un verbale del 28 aprile 2021. Quel documento – assieme alle dichiarazioni di altri due collaboratori di giustizia, Gerardo D’Urzo e Girolamo Bruzzese – è stato depositato dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nel processo d’appello ‘Ndrangheta stragista. È ricco, ovviamente, di riferimenti utili a quel procedimento: riguardano l’individuazione di Silvio Berlusconi come erede politico di Bettino Craxi e le mire dell’allora rampante imprenditore di Fininvest sull’acquisto di società e ripetitori in Calabria. Ma c’è dell’altro nelle parole di Fondacaro. Che parte dalla propria appartenenza massonica per raccontare il rapporto tra ‘ndrangheta e logge deviate in Calabria.
Il pentito ricorda i propri esordi e descrive la propria loggia come quella «che faceva riferimento a Giulio Andreotti e che aveva tra i suoi protagonisti anche Alberto Santoro e l’ingegnere Loizzo di Cosenza, che è stato anche Gran Maestro alla fine degli anni 90». Fa altri nomi, Fondacaro. Quelli dei «fratelli Angelo e Luigi Sorridenti (in rapporti con Peppino Piromalli, ndr), don Stilo (che si appoggiava alla loggia di Africo), l’avvocato G. L. in rappresentanza della loggia di Gioia Tauro, il cui Gran Maestro era il medico Giuseppe Stranoi, suocero di Ninello Piromalli, figlio di Gioacchino». Sorridenti è, secondo il pentito, determinante figura di raccordo: tra i clan Piromalli e Molè e, anche, tra le cosche e gli ambienti massonici. «Aveva – riferisce ai pm antimafia – anche rapporti con la massoneria di Catanzaro nella persona di tale Campana e curava i rapporti con i Bellocco e i Pesce di Rosarno. Queste persone avevo spesso occasione di incontrarle in occasione delle riunioni della loggia a Roma».
Finita la propria permanenza a Roma, Fondacaro si trasferisce a Gioia Tauro. È lì che, a detta del pentito, Sorridenti lo avrebbe invitato «a partecipare a una riunione massonica presso il tempio della loggia di Gioiosa Jonica creata dal Barone Placido». Nell’elenco delle frequentazioni di quel “tempio” il medico cita, tra gli altri, i «fratelli Tripodi», anche loro medici, «che rappresentavano un collegamento tra la famiglia Piromalli-Molè e i Mancuso di Limbadi». È di questi legami che si nutre la rete massomafiosa. Un network che, stando alle dichiarazioni del pentito, lambisce quasi ogni sponda della Calabria. «Il riferimento della massoneria coperta per l’area del Reggino era Cosimo Virgiglio – dice – che per me compare in questo contesto, prima della morte di Rocco Molè (avvenuta nel gennaio 2008) e se non erro quindi tra il 2006 e il 2006». Virgiglio, altro pentito chiave nella ricostruzione degli addentellati massonici della ‘ndrangheta, ha parlato a lungo del sistema Gelli-Piromalli-Molè: alcuni dei nomi emersi nelle sue dichiarazioni si ritrovano anche nelle parole di Fondacaro. Che continua la sua analisi della geografia delle logge (alcune deviate) di Calabria. «Che io sappia – continua – a Vibo Valentia operava un massone di rilievo, tale Mercadante, e c’erano due logge coperte, una per Vibo Valentia e un’altra per l’intera area del Vibonese, di cui facevano parte anche i mafiosi (quali gli appartenenti alle cosche Mancuso di Limbadi e Pisano e La Rosa di Tropea), come mi fu detto specificatamente da Luigi Sorridenti». Di quelle logge avrebbero fatto parte «tra gli altri “Ciccio Meticcio” (della famiglia Mancuso) che conobbi personalmente, Mancuso detto “l’ingegnere”, Mancuso detto “Scarpuni”, oltre che Diego e Luigi Mancuso». Quest’ultimo, in particolare, secondo quanto Sorridenti avrebbe riferito a Fondacaro, sarebbe stato «un fratello massone già nel 1996-1997 e soggetto di riferimento rispetto al contesto che sto raccontando. In questo ambito massonico, era quindi possibile che Mancuso mantenesse un canale comunicativo e rapporti con soggetti quali Antonio e Francesco Tripodi».
C’è un dettaglio rivelato da Fondacaro che restituisce il senso delle connessioni nella galassia massonica deviata: «Le logge coperte erano presenti non solo a Vibo ma anche a Cosenza, Reggio Calabria, Catanzaro, ed erano tutte collegate tra di loro». Un’altra conferma dell’esistenza dei “templi” coperti in Calabria sarebbe arrivata per il pentito «anche da Francesco Grande Aracri mentre eravamo codetenuti a San Gimignano insieme a Salvatore Pisano “il diavolo” di Rosarno nell’anno 2008-2009. Mi disse che anche lui, insieme ai fratelli Nicolino Grande Aracri “mano di gomma” e Domenico Grande Aracri l’avvocato, erano partecipi delle logge coperte calabresi». Si illumina dunque un nuovo aspetto dei rapporti tra cosche: «I legami tra la famiglia Grande Aracri e la famiglia Mancuso non erano solo di tipo mafioso ma anche connessi alla comune fratellanza massonica. In particolare mi dissero che le famiglie dell’area tirrenica appartenenti alle logge massoniche coperte erano, oltre ai Mancuso, anche i Pesce, i Pisano, i Cacciola e i Fazzolari».
In carcere il pentito ascolta i discorsi sulle massomafie calabresi. E viene a sapere «anche del ruolo che storicamente aveva ricoperto – nel contesto dei rapporti ‘ndrangheta-massoneria – Nino Gangemi di Gioia Tauro». Anche questo segmento delle dichiarazioni di Fondacaro richiama i verbali di Virgiglio, il quale individua proprio “Ninu ‘u signurinu” come «ideatore della ‘ndrangheta Piromalli», ispiratore delle strategie del potente clan della Piana di Gioia Tauro e, tra l’altro, fondatore della prima loggia massonica a Palmi. Accanto a Gangemi, al quale viene riconosciuta l’abilità di tessere rapporti tra le cosche e pacificare i contrasti, compare – come collante massomafioso – un’altra figura storia della ‘ndrangheta. «Quest’ultimo (Fondacaro si riferisce a Gangemi, ndr), insieme a Franco Muto di Cetraro (il famigerato “re del pesce”, ndr), aveva avuto una decisiva influenza sulla ‘ndrangheta e sulla massoneria cosentina» e «aveva svolto un ruolo decisivo nei rapporti tra massoneria e ‘ndrangheta per tutta la Calabria, consentendo in particolare l’accesso nelle logge massoniche delle cosche rosarnesi e vibonesi». Un network composito che metteva in connessione tutte le cosche calabresi: spina dorsale criminale per accordi coperti e relazioni (altrettanto coperte) con pezzi delle istituzioni. (p.petrasso@corrierecal.it)
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