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‘Ndrangheta dei boschi, il filo rosso che collega le divise “infedeli”

Dalle inchieste della Dda di Catanzaro emerge lo strapotere delle ditte del taglio boschivo e la protezione garantita da ufficiali dell’arma. I profili dei comandanti Carmine Greco e Costantino Cal…

Pubblicato il: 06/10/2022 – 7:30
di Alessia Truzzolillo
‘Ndrangheta dei boschi, il filo rosso che collega le divise “infedeli”

CATANZARO C’erano ditte dedite al taglio boschivo, nel Crotonese, considerate intoccabili. A proteggerne i soprusi e gli illeciti, perpetrati sia nei confronti dei boschi, tagliati indiscriminatamente, che della concorrenza e della legge stessa, erano quelle stesse persone che la legge avrebbero dovuto farla rispettare.
Questo raccontano, in particolare, due inchieste: “Stige” che punta il dito sullo strapotere della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina, e la recente inchiesta sulla locale di Mesoraca.
I punti in comune, e i personaggi, in queste due indagini coordinate dalla Dda di Catanzaro sono molteplici.
Anche in Stige, per esempio, un pubblico ufficiale, l’ex comandante della stazione forestale di Cava di Melis Carmine Greco è considerato un «facilitatore», «a costante disposizione degli imprenditori in “odor di mafia”», in particolare degli imprenditori Spadafora.
Carmine Greco è stato condannato in primo grado a 13 anni di reclusione per concorso esterno, favoreggiamento, rivelazione di segreto istruttorio e omissione d’atti d’ufficio. Il processo in appello si celebrerà a partire dal prossimo 10 gennaio.
Una figura speculare a quella di Greco appare anche nell’inchiesta su Mesoraca. È quella di Costantino Calaminici, 63 anni, ex comandante della Stazione carabinieri forestale di Petilia Policastro. Nei suoi confronti vengono contestati i reati di concorso esterno, rifiuto d’atti d’ufficio e rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio (questi ultimi due reati aggravati dal metodo mafioso). Stando alle indagini sarebbe emersa la tendenza dell’indagato «a prestare favori di vario genere sfruttando il proprio ruolo istituzionale».

Il “messaggero” degli Spadafora

Dalle indagini condotte dai carabinieri merge anche il fatto che non solo Greco, ma anche Calaminici si facesse latore di ‘mbasciate per conto degli Spadafora. Lo racconta agli investigatori un brigadiere forestale in servizio alla stazione di Cotronei. «Tutti noi carabinieri forestali – racconta il brigadiere – sapevamo che i titolari della ditta Spadafora, con sede in San Giovanni in Fiore, erano collegati alle famiglie mafiose operanti in tale area. Mi riferisco in particolare alla famiglia Ferrazzo di Mesoraca e i Comberiati di Petilia Policastro». Il militare racconta che in una occasione si era rivolto al capitano Roseti e al maresciallo Greco per fare presente la necessità di effettuare una verifica in località “Li Russi” «distante pochi chilometri dal luogo dove ci trovavamo» poiché «la ditta Spadafora stava effettuando un taglio indiscriminato di alberi». In quella circostanza il capitano Roseti rispose che non si poteva procedere con il controllo perché impegnati con l’attività in corso. Ma il fatto strano avviene una settimana dopo.
Il brigadiere viene contattato telefonicamente da Costantino Calaminici il quale chiede conto di un controllo effettuato a carico della ditta Spadafora. Il brigadiere spiega di non avere effettuato alcun controllo ma di avere chiesto la verifica a Roseti e Greco.
È a questo punto che le parole di Calaminici diventano sibilline: «Il luogotenente Calaminici mi disse – racconta il carabiniere – che era stato fermato da tale Donato Mario Ferrazzo, detto “Topolino”, capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, il quale gli aveva rappresentato che il sottoscritto “andava a rompere i coglioni anche agli Spadafora a San Giovanni in Fiore”». Ma chi aveva avvertito gli Spadafora della richiesta di controllo fatta dal brigadiere?
«Capitano, come è potuta accadere una cosa del genere?», chiede il carabiniere a Roseti. «Ma chi può essere stato?», risponde Roseti.
Il brigadiere non ha dubbi, quel giorno sul posto erano in tre: «Era chiaro che la notizia era stata veicolata dal Greco agli Spadafora», i quali, a loro volta si erano rivolti a Ferrazzo che si era rivolto a Calaminici.
Secondo il gip «si evince che Calaminici ha veicolato un messaggio intimidatorio dal Ferrazzo al brigadiere al fine di far conoscere a quest’ultimo il malcontento del capocosca per l’attenzione posta sulle attività degli Spadafora».

I favori a Vona

Sostiene il gip che il comandante Calaminici avesse «ampia rete di relazioni anche con rappresentanti di altri contesti delinquenziali limitrofi».
Tra questi viene annoverato Oreste Vona, già imputato nel processo “Eleo”, sulle cosche di Petilia Policastro e indagato nell’inchiesta su Mesoraca per traffico illecito di rifiuti poiché in qualità di «imprenditore boschivo, in accordo con i titolari delle aziende dei Ferrazzo e degli Spadafora, conferiva loro materiale di scarto, che veniva mischiato con altro materiale legnoso e smaltito presso le centrali a biomassa».
In una occasione, a dicembre 2018, Vona esprime apprezzamenti nei confronti di Calaminici perché avrebbe autorizzato tale Aiello, su richiesta dello stesso Vona, «ad effettuare senza alcuna procedura formale un taglio boschivo».
Tra l’altro Calaminici non aveva remore nel discutere con Vona circa le dinamiche criminali locali.
I due si trovano a commentare anche la figura del boss di Petilia Policastro Rosario Curcio alias “Pilirussu” ponendo un confronto con il capocosca di Mesoraca Mario Donato Ferrazzo. Commentano il fatto che Curcio fosse stato arrestato. «stava rompendo i coglioni a tutti…», dice il comandante, e aggiunge: «lo vedi invece a Mesoraca se quello “friculia” (ndr, dialettale “stuzzicare”) qualcuno?!». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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