COSENZA L’ultima relazione semestrale della Dia indica 45 “locali” di ‘ndrangheta nel Nord Italia. Se si escludono le grandi metropoli di Torino e Milano e una grande città come Verona sono tutti piccoli centri, città di provincia, a volte paesini. Un dato che merita di essere indagato. Per comprenderlo, inizio un’inchiesta a puntate che parte dalla Valle d’Aosta. La regione autonoma a Nord del Piemonte ha 128.000 abitanti. Neanche quelli di un quartiere di Napoli. L’emigrazione calabrese nel corso dei decenni ne ha trasformati in residenti circa 32.000 abitanti. Il dato empirico è di Antonio Raso, intercettato in un ristorante che forse gonfiava la cifra per dimostrare di avere più peso nelle elezioni. Ma viene dato per buono dagli inviati dei giornali che hanno cercato di capire il fenomeno. Un locale accertato è quello dei Nirta-Scalzone sgominato con l’operazione Geenna. In conseguenza del blitz è stato sciolto il comune di Saint Pierre. Tremila anime e due castelli. Disordine nelle concessioni, negli appalti e nei tributi. Un ex assessore comunale, Monica Carcea, condannata in appello a sette anni di carcere per concorso esterno. Ben tre governatori accusati di aver preso voti dalla ’ndrangheta. Consiglieri regionali e comunali arrestati.
Un terzo di elettori calabresi fa gola a chi deve vincere. Tanta politica autonomista finita nei guai ma in Italia c’è poca percezione. Alessandro Fontanelle, calabrese, ex assessore del paesino, in una riunione ha riferito che fu presa male la frase detta alla Carcea «Io mi sento più valdostano che calabrese». In passato i sanlucoti intuirono che c’era spazio per fondare un gruppo politico, il Miv, Movimento immigrati valdostani. Elessero alcuni consiglieri comunali nella Valle. Poi li hanno scoperti e si sono infiltrati nei partiti locali autonomisti. Appoggi dati e rifiutati, consiglieri arrestati, il rapporto tra ‘ndrine e politica in Val D’Aosta è ormai assodato da tempo.
Il clan di Aosta è riconducibile a famiglie di San Luca infiltrate nelle aziende locali per dedicarsi meglio al narcotraffico. Condannato anche un penalista torinese, ma originario di Bovalino. Più recente invece il coinvolgimento dei coniugi Maria Rita Bagalà e Andrea Giunti, avvocati ad Aosta ma a processo per associazione a delinquere di stampo mafioso in Calabria. L’inchiesta è quella di Gratteri “Alibante”. Dal 2000 la coppia era nel mirino degli investigatori. Sono rimasti impantanati su un’ipotesi di riciclaggio visto che volevano acquisire un immobile ad Aosta per installare un’attività economica con i soldi della cosca. Maria Rita è la figlia del boss. Nel riciclaggio sospetti anche sull’acquisizione di una discoteca a Courmayer.
I primi calabresi arrivano in Valle con il fascismo quando a Cogne si ristruttura nel bellico. Ma sono pochi. L’emigrazione di massa inizia nel dopoguerra. Solita trafila. C’è chi arriva e poi chiama altri paesani. E’ il caso degli abitanti di S.Giorgio Morgeto che oggi segna 3000 abitanti in Calabria e oltre il triplo in Valle D’Aosta. Cosca di riferimento i Facchineri. Dal Nord condizionerebbero le elezioni in municipio e in Calabria. Nelle loro chiacchiere intercettate inguaiano anche ingiustamente politici calabresi che non hanno mai incontrato. Le vicende valdostane hanno portato allo scioglimento del comune di San Giorgio Morgeto prima di quello di Saint Pierre. Nelle carte delle inchiesta valdostana un omicidio avvenuto proprio nel comune calabrese anni prima, quello di Salvatore Raso, l’uomo a cui si rivolse un emigrato valdostano per risolvere il problema di una tangente su un mega appalto dell’ospedale Parini. E poi c’erano le telefonate tra Roberto Raffa, uno degli uomini condannati per la tentata estorsione al centro dell’inchiesta Altanum, e l’allora assessore del Comune di Aosta Marco Sorbara e la vicenda dei mobili donati dal Comune di Aosta a quello di San Giorgio Morgeto nel 2012 per volontà sempre di Sorbara. E poi ancora i contatti tra l’ex assessore sospettato di concorso esterno e Antonio Raso, ritenuto un esponente di vertice del locale di Aosta, per gli spazi espositivi degli ospiti calabresi alla Fiera di Sant’Orso nel 2017. E le feste religiose tra Valle d’Aosta e piana di Gioia Tauro registrano sincretismi. La festa di San Giorgio e di San Giacomo ad Aosta dura dodici giorni, dal 15 al 26 luglio, e registra presenze per settantamila persone. A quella omologa in Calabria fu visto un ex assessore regionale coinvolto nell’inchiesta e il presunto capomafia del locale portava la statua. Non manca neanche a settembre una messa per la Madonna di Polsi che si svolge alla periferia di Aosta con grande partecipazione.
Una comunità ibrida e meticcia si è contaminata tra le montagne. Ci sono giovani che ad Aosta si fanno chiamare “Calabria boys” ma se ne sa poco. Un gioco identitario o altro? Per numeri di operazioni la Valle d’Aosta sta in fondo alle classifiche, anche dopo il Molise, ma la presenza è ingombrante nella piccola regione. Nel dicembre del 2019 il presidente della Regione Antonio Fosson, i due assessori regionali Laurent Viérin (Turismo e Beni culturali) e Stefano Borrello (Opere pubbliche) e il consigliere Luca Bianchi furono costretti a dimettersi per aver ricevuto avvisi di garanzia per scambio politico-mafioso. Ma tutto questo non nasce per caso. La politica in Valle negli ultimi tempi si è modificata. Il partito autonomista egemone è andato in frantumi cambiando il mercato della politica. Scrive uno studio specifico della rivista Il Mulino: «In Valle d’Aosta il profondo cambiamento avvenuto nel sistema di regolazione dei rapporti tra governo locale ed economia ha creato nuove opportunità che gli attori criminali locali hanno immediatamente colto. L’offerta di sostegno elettorale di origine mafiosa non è stata dunque imposta e non si è generata dal nulla: piuttosto, ha incrociato la domanda di una classe politica locale in crisi e, forse proprio per questo, poco incline a interrogarsi sugli interessi della controparte». Ne è passato del tempo quando negli anni Settanta i bracconieri locali, dediti al traffico d’armi con la Svizzera, minacciavano in delle telefonate intercettate di rivolgersi alle cosche calabresi per dare una lezione alle guardie forestali. Poi era arrivato un procuratore della Repubblica, Mario Vadauno, che aveva capito i legami culturali tra ‘ndrine e valdostani. Vaduano indagò sul traffico di armi clandestine dalla Svizzera, le infiltrazioni mafiose, il bracconaggio, la presenza massiccia di pregiudicati orbitanti attorno al Casinò, gli incendi “misteriosi” nei cantieri. Cercarono di uccidere anche un pretore il 13 dicembre del 1982, Giovanni Selis. Una bomba nella sua Cinquecento che esplode all’accensione. Vivo per miracolo. Quattro anni dopo il pretore s’impicca nello scantinato di casa. Era rimasto sotto choc. Oggi vecchie intercettazioni rimettono tutto in cifra in conto alla ‘ndrangheta calabrovaldostana. Già nel 1966 volavano parole grosse in consiglio regionale per un exploit democristiano con gli unionisti che denunciavano voti chiesti a capimafia calabresi. Farà scalpore l’inchiesta giornalistica di Riccardo Chiaberge del Corriere della Sera che nel 1994 sale da quelle parti e racconta i molti legami culturali tra la malavita calabrese e la gente della Valle titolato “Aosta mafia di montagna”. Il giornalista, cui si deve il celebre titolo ad un pezzo di Sciascia su i professionisti dell’antimafia, oggi ricorda caustico: “Quel pezzo mi attirò un sacco di guai”. Tessere di un antico mosaico quello della Valle mafiosa tra le Alpi. Con le etnie che non si dividono tra buoni e cattivi. Mescolati nelle responsabilità che da tempo hanno contaminato una Valle d’Aosta esposta al crimine organizzato. (Continua)
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